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M i chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. «Vittoria! Vittoria!». Uomini, donne, bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: «Bene. Agli americani gli sta bene». E sono molto molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso. Arrabbiata come me, la poetessa afro-americana Maya Angelou ieri ha ruggito: «Be angry. It's good to be angry, it's healthy. Siate arrabbiati. Fa bene essere arrabbiati. È sano». E se a me fa bene io non lo so. Però so che non farà bene a loro, intendo dire a chi ammira gli Usama Bin Laden, a chi gli esprime comprensione o simpatia o solidarietà. Hai acceso un detonatore che da troppo tempo ha voglia di scoppiare, con la tua richiesta. Vedrai. Mi chiedi anche di raccontare come l'ho vissuta io, quest'Apocalisse. Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella. Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d'un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L'ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l'audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull'obiettivo, si getta sull'obiettivo. Sicché ho capito. Ho capito anche perché nello stesso momento l'audio è tornato e ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. «God! Oh, God! Oh, God, God, God! Gooooooood!Diò! Oddio! Oddio!Diò,Diò,Diòooooooo!» E l'aereo s'è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro.
Erano le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, e venivano giù così lentamente. Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell'aria. Sì, sembravano nuotare nell'aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf! Sai, io credevo d'aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre, inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran fracasso. Quelle due torri, invece, non sono esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s'è fusa, s'è sciolta. Per il calore s'è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m'è parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C'era davvero, quel silenzio, o era dentro di me?
Devo anche dirti che alle guerre io ho sempre visto un numero limitato di morti. Ogni combattimento, duecento o trecento morti. Al massimo, quattrocento. Come a Dak To, in Vietnam. E quando il combattimento è finito, gli americani si son messi a raccattarli, contarli, non credevo ai miei occhi. Nella strage di Mexico City, quella dove anch'io mi beccai un bel po' di pallottole, di morti ne raccolsero almeno ottocento. E quando credendomi morta mi scaraventarono nell'obitorio, i cadaveri che presto mi ritrovai intorno e addosso mi sembrarono un diluvio. Bè, nelle due torri lavoravano quasi cinquantamila persone. E ben pochi hanno fatto in tempo ad evacuare. Gli ascensori non funzionavano più, ovvio, e per scendere a piedi dagli ultimi piani ci voleva un'eternità. Fiamme permettendo. Non lo conosceremo mai, il numero dei morti. (Quarantamila, quarantacinquemila...?). Gli americani non lo diranno mai. Per non sottolineare l'intensità di questa Apocalisse. Per non dar soddisfazione a Usama Bin Laden e incoraggiare altre Apocalissi. E poi le due voragini che hanno assorbito le decine di migliaia di creature son troppo profonde. Al massimo gli operai dissottèrrano pezzettini di membra sparse. Un naso qui, un dito là. Oppure una specie di melma che sembra caffè macinato e invece è materia organica. Il residuo dei corpi che in un lampo si polverizzarono. Ieri il sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila sacchi. Ma sono rimasti inutilizzati.
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C he cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra Mondiale. Non li ho mai considerati Pietri Micca che per bloccar l'arrivo delle truppe nemiche danno fuoco alle polveri e saltano in aria con la cittadella, a Torino. Non li ho mai considerati soldati. E tantomeno li considero martiri o eroi, come berciando e sputando saliva il signor Arafat me li definì nel 1972. (Ossia quando lo intervistai ad Amman, luogo dove i suoi marescialli addestravano anche i terroristi della Baader-Meinhof). Li considero vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte propria e altrui. Una morte che invece del Premio Oscar o della poltrona ministeriale o dello scudetto gli procurerà (credono) ammirazione. E, nel caso di quelli che pregano Allah, un posto nel Paradiso di cui parla il Corano: il Paradiso dove gli eroi si scopano le Urì. Scommetto che sono vanesi anche fisicamente. Ho sotto gli occhi la fotografia dei due kamikaze di cui parlo nel mio «Insciallah»: il romanzo che incomincia con la distruzione della base americana (oltre quattrocento morti) e della base francese (oltre trecentocinquanta morti) a Beirut. Se l'erano fatta scattare prima d'andar a morire, quella fotografia, e prima d'andar a morire erano stati dal barbiere. Guarda che bel taglio di capelli. Che baffi impomatati, che barbetta leccata, che basette civettuole...
Eh! Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, tra me e lui non corre buon sangue. Non mi ha mai perdonato né le roventi differenze di opinione che avemmo durante quell'incontro né il giudizio che su di lui espressi nel mio libro «Intervista con la storia». Quanto a me, non gli ho mai perdonato nulla. Incluso il fatto che un giornalista italiano imprudentemente presentatosi a lui come «mio amico», si sia ritrovato con una rivoltella puntata contro il cuore. Ergo, non ci frequentiamo più. Peccato. Perché se lo incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi udienza, glielo urlerei sul muso chi sono i martiri e gli eroi. Gli urlerei: illustre Signor Arafat, i martiri sono i passeggeri dei quattro aerei dirottati e trasformati in bombe umane. Tra di loro la bambina di quattro anni che si è disintegrata dentro la seconda torre. Illustre Signor Arafat, i martiri sono gli impiegati che lavoravano nelle due torri e al Pentagono. Illustre Signor Arafat, i martiri sono i pompieri morti per tentar di salvarli. E lo sa chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo che doveva buttarsi sulla Casa Bianca e che invece si è schiantato in un bosco della Pennsylvania perché loro si son ribellati! Per loro sì che ci vorrebbe il Paradiso, illustre Signor Arafat. Il guaio è che ora fa Lei il capo di Stato ad perpetuum. Fa il monarca. Rende visita al Papa, afferma che il terrorismo non le piace, manda le condoglianze a Bush. E nella sua camaleontica abilità di smentirsi, sarebbe capace di rispondermi che ho ragione. Ma cambiamo discorso. Io sono molto ammalata, si sa, e a parlare con gli Arafat mi viene la febbre.
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P referisco parlare dell'invulnerabilità che tanti, in Europa, attribuivano all'America. Invulnerabilità? Ma come invulnerabilità?!? Più una società è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un paese è libero, non governato da un regime poliziesco, più subisce o rischia i dirottamenti o i massacri che sono avvenuti per tanti anni in Italia in Germania e in altre regioni d'Europa. E che ora avvengono, ingigantiti, in America. Non per nulla i paesi non democratici, governati da un regime poliziesco, hanno sempre ospitato e finanziato e aiutano i terroristi. L'Unione Sovietica, i paesi satelliti dell'Unione Sovietica e la Cina Popolare, ad esempio. La Libia di Gheddafi, l'Iraq, l'Iran, la Siria, il Libano arafattiano, lo stesso Egitto, la stessa Arabia Saudita di cui Usama Bin Laden è suddito, lo stesso Pakistan, ovviamente l'Afghanistan, e tutte le regioni musulmane dell'Africa. Negli aeroporti e sugli aerei di quei paesi io mi sono sempre sentita sicura. Serena come un neonato che dorme. L'unica cosa che temevo era essere arrestata perché scrivevo male dei terroristi. Negli aeroporti e sugli aerei europei, invece, mi sono sempre sentita nervosetta. Negli aeroporti e sugli aerei americani, addirittura nervosa. E a New York, due volte nervosa. (A Washington, no. Devo ammetterlo. L'aereo sul Pentagono non me lo aspettavo davvero). A mio giudizio, insomma, non è mai stato un problema di «se»: è sempre stato un problema di «quando». Perché credi che martedì mattina il mio subconscio abbia avvertito quella inquietudine, quella sensazione di pericolo? Perché credi che contrariamente alle mie abitudini abbia acceso il televisore? Perché credi che fra le tre domande che mi ponevo mentre la prima torre bruciava e l'audio non funzionava, ci fosse quella sull'attentato? E perché credi che appena apparso il secondo aereo abbia capito? Poiché l'America è il Paese più forte del mondo, il più ricco, il più potente, il più moderno, ci sono cascati quasi tutti in quel tranello. Gli americani stessi, a volte. Ma la vulnerabilità dell'America nasce proprio dalla sua forza, dalla sua ricchezza, dalla sua potenza, dalla sua modernità. La solita storia del cane che si mangia la coda.
Nasce anche dalla sua essenza multi-etnica, dalla sua liberalità, dal suo rispetto per i cittadini e per gli ospiti. Esempio: circa ventiquattro milioni di americani sono arabi-musulmani. E quando un Mustafà o un Muhammed viene diciamo dall'Afghanistan per visitare lo zio, nessuno gli proibisce di frequentare una scuola di pilotaggio per imparare a guidare un 757. Nessuno gli proibisce d'iscriversi a un'Università (cosa che spero cambi) per studiare chimica e biologia: le due scienze necessarie a scatenare una guerra batteriologica. Nessuno. Neppure se il governo teme che quel figlio di Allah dirotti il 757 oppure butti una fiala di batteri nel deposito dell'acqua e scateni una strage. (Dico «se» perché stavolta il governo non ne sapeva un bel niente e la figuraccia fatta dalla Cia e dall'Fbi va al di là d'ogni limite. Se fossi il presidente degli Stati Uniti io li caccerei tutti a pedate nei posteriori per cretineria). E detto ciò torniamo al ragionamento iniziale. Quali sono i simboli della forza, della ricchezza, della potenza, della modernità americane? Non certo il jazz e il rock and roll, il chewing-gum e l'hamburger, Broadway ed Hollywood. Sono i suoi grattacieli. Il suo Pentagono. La sua scienza. La sua tecnologia. Quei grattacieli impressionanti, così alti, così belli che ad alzar gli occhi quasi dimentichi le piramidi e i divini palazzi del nostro passato. Quegli aerei giganteschi, esagerati, che ormai usano come un tempo usavano i velieri e i camion perché tutto qui si muove con gli aerei. Tutto. La posta, il pesce fresco, noi stessi (E non dimenticare che la guerra aerea l'hanno inventata loro. O almeno sviluppata fino all'isteria). Quel Pentagono terrificante, quella fortezza che fa paura solo a guardarla. Quella scienza onnipresente, onnipossente. Quella tecnologia raggelante che in pochissimi anni ha stravolto la nostra esistenza quotidiana, la nostra millenaria maniera di comunicare, mangiare, vivere. E dove li ha colpiti, il reverendo Usama Bin Laden? Sui grattacieli, sul Pentagono. Come? Con gli aerei, con la scienza, con la tecnologia. By the way: sai cosa mi impressiona di più in questo tristo ultramiliardario, questo mancato play-boy che anziché corteggiare le principesse bionde e folleggiare nei night-club (come faceva a Beirut quando aveva vent’anni) si diverte ad ammazzar la gente in nome di Maometto e di Allah? Il fatto che il suo sterminato patrimonio derivi anche dai guadagni d'una Corporation specializzata nel demolire, e che egli stesso sia un esperto demolitore. La demolizione è una specialità americana.
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Q uando ci siamo incontrati t'ho visto quasi stupefatto dall'eroica efficienza e dall'ammirevole unità con cui gli americani hanno affrontato quest'Apocalisse. Eh, sì. Nonostante i difetti che le vengono continuamente rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell’Europa e in particolare dell’Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che ha grosse cose da insegnarci. E a proposito dell'eroica efficienza lasciami cantare un peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi italiani dovremmo ringraziare in ginocchio. Perché ha un cognome italiano, è un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura dinanzi al mondo intero. E’ un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani. Te lo dice una che non è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da se stessa. E' un sindaco degno d'un altro grandissimo sindaco col cognome italiano, Fiorello La Guardia, e tanti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui. Presentarsi a capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli: «Sor Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?». Lui non delega i suoi doveri al prossimo, no. Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide tra l'incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. (C'è nessuno che mi ascolta nelle tre città di Stendhal, insomma a Napoli e a Firenze e a Roma?). Essendo corso subito, e subito entrato nel secondo grattacielo, ha rischiato di trasformarsi in cenere con gli altri. S'è salvato per un pelo e per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi la città. Una città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella sola Manhattan. Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover'uomo. Il cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta d’essere sano: lavora lo stesso. Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando seduta! Lui, invece... Sembrava un generale che partecipa di persona alla battaglia. Un soldato che si lancia all'attacco con la baionetta. «Forza, gente, forzaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiii!» Ma poteva farlo perché quella gente era, è, come lui. Gente senza boria e senza pigrizia, avrebbe detto mio padre, e con le palle. Quanto all'ammirevole capacità di unirsi, alla compattezza quasi marziale con cui gli americani rispondono alle disgrazie e al nemico, bè: devo ammettere che lì per lì ha stupito anche me. Sapevo, sì, che era esplosa al tempo di Pearl Harbor, cioè quando il popolo s'era stretto intorno a Roosevelt e Roosevelt era entrato in guerra contro la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini e il Giappone di Hirohito. L'avevo annusata, sì, dopo l'assassinio di Kennedy. Ma a questo era seguita la guerra in Vietnam, la lacerante divisione causata dalla guerra in Vietnam, e in un certo senso ciò mi aveva ricordato la loro Guerra Civile d'un secolo e mezzo fa. Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God save America,Diò salvi l'America», quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare «Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente». Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state reiterate da Lieberman, l'ex candidato democratico alla vice-presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). E lo stesso quando il Congresso ha votato all'unanimità d'accettare la guerra, punire i responsabili. Ah, se l'Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l'Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all'interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l'opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all'opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell'opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani.
Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: «I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d'essere esausto, non d'essere sconfitto». Tutti. Giovani, giovanissimi, vecchi, di mezz'età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola... L'avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l'ha organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria... In inglese la parola Patria non c'è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese. Però il sostantivo Patriotism c'è. L'aggettivo Patriotic c'è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell'America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all'Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c'è una partita internazionale di calcio. Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia.
Eh! C'è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah. Oppure per raccogliere quel caffè macinato.
*** segue parte 2 di 3
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Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza eccetera. Lo è perché è nato da un bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, e dall'idea più sublime che l'Uomo abbia mai concepito: l'idea della Libertà, anzi della libertà sposata all'idea di uguaglianza. Lo è anche perché a quel tempo l'idea di libertà non era di moda. L'idea di uguaglianza, nemmeno. Non ne parlavano che certi filosofi detti Illuministi, di queste cose. Non li trovavi che in un costosissimo librone a puntate detto l'Encyclopedie, questi concetti. E a parte gli scrittori o gli altri intellettuali, a parte i principi e i signori che avevano i soldi per comprare il librone o i libri che avevano ispirato il librone, chi ne sapeva nulla dell'Illuminismo? Non era mica roba da mangiare, l'Illuminismo! Non ne parlavan neppure i rivoluzionari della Rivoluzione Francese, visto che la Rivoluzione Francese sarebbe incominciata nel 1789 ossia tredici anni dopo la Rivoluzione Americana che scoppiò nel 1776. (Altro particolare che gli antiamericani del bene-agli-americani-gli-sta-bene ignorano o fingono di dimenticare. Razza di ipocriti).
È un paese speciale, un paese da invidiare, inoltre, perché quell'idea venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque ineducati. I contadini delle colonie americane. E perché venne materializzata da un piccolo gruppo di leader straordinari: da uomini di grande cultura, di gran qualità. The Founding Fathers, i Padri Fondatori. Ma hai idea di chi fossero i Padri Fondatori, i Benjamin Franklin e i Thomas Jefferson e i Thomas Paine e i John Adams e i George Washington eccetera? Altro che gli avvocaticchi (come giustamente li chiamava Vittorio Alfieri) della Rivoluzione Francese! Altro che i cupi e isterici boia del Terrore, i Marat e i Danton e i Saint Just e i Robespierre! Erano tipi, i Padri Fondatori, che il greco e il latino lo conoscevano come gli insegnanti italiani di greco e di latino (ammesso che ne esistano ancora) non lo conosceranno mai. Tipi che in greco s'eran letti Aristotele e Platone, che in latino s'eran letti Seneca e Cicerone, e che i principii della democrazia greca se l'eran studiati come nemmeno i marxisti del mio tempo studiavano la teoria del plusvalore. (Ammesso che la studiassero davvero). Jefferson conosceva anche l'italiano. (Lui diceva «toscano»). In italiano parlava e leggeva con gran speditezza. Infatti con le duemila piantine di vite e le mille piantine di olivo e la carta da musica che in Virginia scarseggiava, nel 1774 il fiorentino Filippo Mazzei gli aveva portato varie copie d'un libro scritto da un certo Cesare Beccaria e intitolato «Dei Delitti e delle Pene». Quanto all'autodidatta Franklin, era un genio. Scienziato, stampatore, editore, scrittore, giornalista, politico, inventore. Nel 1752 aveva scoperto la natura elettrica del fulmine e aveva inventato il parafulmine. Scusa se è poco. E fu con questi leader straordinari, questi uomini di gran qualità, che nel 1776 i contadini spesso analfabeti e comunque ineducati si ribellarono all'Inghilterra. Fecero la guerra d'indipendenza, la Rivoluzione Americana.
Bè... Nonostante i fucili e la polvere da sparo, nonostante i morti che ogni guerra costa, non la fecero coi fiumi di sangue della futura Rivoluzione Francese. Non la fecero con la ghigliottina e coi massacri della Vandea. La fecero con un foglio che insieme al bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, concretizzava la sublime idea della libertà anzi della libertà sposata all'uguaglianza. La Dichiarazione d'Indipendenza. «We hold these Truths to be self-evident... Noi riteniamo evidenti queste verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali. Che sono dotati dal Creatore di certi inalienabili Diritti. Che tra questi Diritti vi è il diritto alla Vita, alla Libertà, alla Ricerca della Felicità. Che per assicurare questi Diritti gli Uomini devono istituire i governi...». E quel foglio che dalla Rivoluzione Francese in poi tutti gli abbiamo bene o male copiato, o al quale ci siamo ispirati, costituisce ancora la spina dorsale dell'America. La linfa vitale di questa nazione. Sai perché? Perché trasforma i sudditi in cittadini. Perché trasforma la plebe in Popolo. Perché la invita anzi le ordina di governarsi, d'esprimere le proprie individualità, di cercare la propria felicità. Tutto il contrario di ciò che il comunismo faceva proibendo alla gente di ribellarsi, governarsi, esprimersi, arricchirsi, e mettendo Sua Maestà lo Stato al posto dei soliti re. «Il comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In quanto tale taglia le palle agli uomini. E quando a un uomo gli tagli le palle non è più un uomo» diceva mio padre. Diceva anche che invece di riscattare la plebe il comunismo trasformava tutti in plebe. Rendeva tutti morti di fame.
Bè, secondo me l'America riscatta la plebe. Sono tutti plebei, in America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola, stupidi, intelligenti, poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella maggioranza dei casi, certi piercoli! Rozzi, maleducati. Lo vedi subito che non hanno mai letto Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la sophistication. Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi, ad esempio, son così ineleganti che in paragone la regina d'Inghilterra sembra chic. Però sono riscattati, perdio. E a questo mondo non c'è nulla di più forte, di più potente, della plebe riscattata. Ti rompi sempre le corna con la Plebe Riscattata. E con l'America le corna se le sono sempre rotte tutti. Inglesi, tedeschi, messicani, russi, nazisti, fascisti, comunisti. Da ultimo se le son rotte perfino i vietnamiti che dopo la vittoria son dovuti scendere a patti con loro sicché quando un ex presidente degli Stati Uniti va a fargli una visitina toccano il cielo con un dito. «Bienvenu, Monsieur le President, bienvenu!». Il guaio è che i vietnamiti non pregano Allah. E con i figli di Allah la faccenda sarà dura. Molto lunga e molto dura. Ammenoché il resto dell'Occidente non smetta di farsela addosso. E ragioni un po' e gli dia una mano.
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N on sto parlando, ovvio, alle iene che se la godono a veder le immagini delle macerie e ridacchiano bene-agli-americani-gli-sta-bene. Sto parlando alle persone che pur non essendo stupide o cattive, si cullano ancora nella prudenza e nel dubbio. E a loro dico: sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci… Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo! Non vi rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non vi importa neanche di questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare perché lo sono.
Da vent'anni lo dico, da vent'anni. Con una certa mitezza, non con questa passione, vent'anni fa su questa roba scrissi un articolo di fondo per il «Corriere». Era l'articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, d'una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, d'una laica senza tabù. Ma era anche l'articolo di una persona indignata con chi non sentiva il puzzo di una Guerra Santa a venire, e ai figli di Allah gliene perdonava un po' troppe. Feci un ragionamento che suonava press'appoco così, vent'anni fa. «Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando loro disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra, e vi informo che Dante Alighieri mi piace più di Omar Khayan». Apriti cielo. Mi crocifissero. «Razzista, razzista!». Eh, furono gli stessi progressisti (a quel tempo si chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto quell'insulto me lo presi anche quando i sovietici invasero l'Afghanistan. Li ricordi quei barbuti con la sottana e il turbante che prima di sparare il mortaio, anzi a ciascun colpo di mortaio, berciavano le lodi del Signore? «Allah akbar! Allah akbar!». Io li ricordo bene. E a veder accoppiare la parola Diò al colpo di mortaio, mi venivano i brividi. Mi pareva d'essere nel Medioevo, e dicevo: «I sovietici sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra proteggono anche noi. E li ringrazio». Riapriti cielo. «Razzista, razzista!». Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità che i figli di Allah commettevano sui militari fatti prigionieri. (Gli segavano le braccia e le gambe, rammenti? Un vizietto a cui s'erano già abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei). Non volevano che lo dicessi, no. E pur di fare i progressisti applaudivano gli americani che rincretiniti dalla paura dell’Unione Sovietica riempivan di armi l'eroico-popolo-afghano. Addestravano i barbuti, e coi barbuti un barbutissimo Usama Bin Laden. Via-i-russi-dall'Afghanistaaaan! I-russi- devono-andarsene-dall'Afghanistaaaan! Bè, i russi se ne sono andati dall'Afghanistan: contenti? E dall'Afghanistan i barbuti del barbutissimo Usama Bin Laden sono arrivati a New York con gli sbarbati siriani egiziani iracheni libanesi palestinesi sauditi che componevano la banda dei diciannove kamikaze identificati: contenti? Peggio: ora qui si discute sul prossimo attacco che ci colpirà con le armi chimiche, biologiche, radioattive, nucleari. Si dice che la nuova strage è inevitabile perché l’Iraq gli fornisce il materiale. Si parla di vaccinazioni, di maschere a gas, di peste. Ci si chiede quando avverrà... Contenti?
Alcuni non sono né contenti né scontenti. Se ne fregano e basta. Tanto l'America è lontana, tra l'Europa e l'America c'è un oceano... Eh, no, cari miei. No. C'è un filo d'acqua. Perché quando è in ballo il destino dell'Occidente, la sopravvivenza della nostra civiltà, New York siamo noi. L'America siamo noi. Noi italiani, noi francesi, noi inglesi, noi tedeschi, noi austriaci, noi ungheresi, noi slovacchi, noi polacchi, noi scandinavi, noi belgi, noi spagnoli, noi greci, noi portoghesi. Se crolla l'America, crolla l'Europa. Crolla l'Occidente, crolliamo noi. E non solo in senso finanziario cioè nel senso che, mi pare, vi preoccupa di più. (Una volta, ero giovane e ingenua, dissi ad Arthur Miller: «Gli americani misurano tutto coi soldi, non pensano che ai soldi». E Arthur Miller mi rispose: «Voi no?»). In tutti i sensi crolliamo, caro mio. E al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il latte di cammella. Neanche questo capite, neanche questo volete capire?!? Blair lo ha capito. È venuto qui e ha portato anzi rinnovato a Bush la solidarietà degli inglesi. Non una solidarietà espressa con le chiacchiere e i piagnistei: una solidarietà basata sulla caccia ai terroristi e sull’alleanza militare. Chirac, no. Come sai la scorsa settimana era qui in visita ufficiale.
Una visita prevista da tempo, non una visita ad hoc. Ha visto le macerie delle due torri, ha saputo che i morti sono un numero incalcolabile anzi inconfessabile, ma non s'è sbilanciato. Durante l'intervista alla Cnn ben quattro volte la ma amica Cristiana Amanpour gli ha chiesto in qual modo e in qual misura intendesse schierarsi contro questa Jihad, e per quattro volte Chirac ha evitato una risposta. È sgusciato via come un'anguilla. Veniva voglia di gridargli: «Monsieur le President! Ricorda lo sbarco in Normandia? Lo sa quanti americani sono crepati in Normandia per cacciare i nazisti anche dalla Francia?». Escluso Blair, del resto, neanche fra gli altri europei vedo Riccardi Cuor di Leone. E tantomeno ne vedo in Italia dove il governo non ha individuato quindi arrestato alcun complice o sospetto complice di Usama Bin Laden. Perdio, signor cavaliere, perdio! Malgrado la paura della guerra, in ogni paese d'Europa è stato individuato e arrestato qualche complice di Usama Bin Laden. In Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna... Ma in Italia dove le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di San Pietro, nessuno. Zero. Nulla. Nessuno. Mi spieghi, signor cavaliere: son così incapaci i Suoi poliziotti e carabinieri? Son così coglioni i Suoi servizi segreti? Son così scemi i Suoi funzionari? E son tutti stinchi di santo, tutti estranei a ciò che è successo e succede, i figli di Allah che ospitiamo? Oppure a fare le indagini giuste, a individuare e arrestare chi finoggi non avete individuato e arrestato, Lei teme di subire il solito ricatto razzista-razzista? Io, vede, no.
Cristo! Io non nego a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha paura della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra, l’ho scritto mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo. Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti.
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M asochisti, sì, masochisti. Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è Aristotele, c'è Fidia, perdio. C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della Legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade. C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell'amore e della giustizia. C'è anche una Chiesa che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d'accordo. Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la nostra civiltà c'è il Rinascimento. C'è Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è Raffaello, c’è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita. Guai se fischi una canzonetta o mugoli il coro del Nabucco. E infine c'è la Scienza, perdio. Una scienza che ha capito parecchie malattie e le cura. Io sono ancora viva, per ora, grazie alla nostra scienza: non quella di Maometto. Una scienza che ha inventato macchine meravigliose. Il treno, l'automobile, l'aereo, le astronavi con cui siamo andati sulla Luna e su Marte e presto andremo chissàddove. Una scienza che ha cambiato la faccia di questo pianeta con l'elettricità, la radio, il telefono, la televisione, e a proposito: è vero che i santoni della sinistra non vogliono dire ciò che ho appena detto?!? Diò, che bischeri! Non cambieranno mai. Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è?
Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso. (I Commentari su Aristotele eccetera), Arafat ci trova anche i numeri e la matematica. Di nuovo berciandomi addosso, di nuovo coprendomi di saliva, nel 1972 mi disse che la sua cultura era superiore alla mia, molto superiore alla mia, perché i suoi nonni avevano inventato i numeri e la matematica. Ma Arafat ha la memoria corta. Per questo cambia idea e si smentisce ogni cinque minuti. I suoi nonni non hanno inventato i numeri e la matematica. Hanno inventato la grafia dei numeri che anche noi infedeli adopriamo, e la matematica è stata concepita quasi contemporaneamente da tutte le antiche civiltà. In Mesopotamia, in Grecia, in India, in Cina, in Egitto, tra i Maya... I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah. E ora vediamo quali sono i pregi che distinguono questo Corano. Davvero pregi? Dacché i figli di Allah hanno semidistrutto New York, gli esperti dell'Islam non fanno che cantarmi le lodi di Maometto: spiegarmi che il Corano predica la pace e la fratellanza e la giustizia. (Del resto lo dice anche Bush, povero Bush. E va da sé che Bush deve tenersi buoni i ventiquattro milioni di americani-musulmani, convincerli a spifferare quel che sanno sugli eventuali parenti o amici o conoscenti devoti a Usama Bin Laden). Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente? Come la mettiamo con la faccenda del chador anzi del velo che copre il volto delle musulmane, sicché per dare una sbirciata al prossimo quelle infelici devon guardare attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi? Come la mettiamo con la poligamia e col principio che le donne debbano contare meno dei cammelli, che non debbano andare a scuola, non debbano andare dal dottore, non debbano farsi fotografare eccetera? Come la mettiamo col veto degli alcolici e la pena di morte per chi li beve? Anche questo sta nel Corano. E non mi sembra mica tanto giusto, tanto fraterno, tanto pacifico.
Ecco dunque la mia risposta alla tua domanda sul Contrasto-delle-Due-Culture. Al mondo c'è posto per tutti, dico io. A casa propria tutti fanno quel che gli pare. E se in alcuni paesi le donne sono così stupide da accettare il chador anzi il velo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi, peggio per loro. Se son così scimunite da accettar di non andare a scuola, non andar dal dottore, non farsi fotografare eccetera, peggio per loro. Se son così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio per loro. Se i loro uomini sono così grulli da non bere la birra e il vino, idem. Non sarò io a impedirglielo. Ci mancherebbe altro. Sono stata educata nel concetto di libertà, io, e la mia mamma diceva: «Il mondo è bello perché è vario». Ma se pretendono d'imporre le stesse cose a me, a casa mia... Lo pretendono. Usama Bin Laden afferma che l'intero pianeta Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all'Islam, che con le buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci. E questo non può piacerci, no. Deve metterci addosso una gran voglia di rovesciar le carte, ammazzare lui. Però la cosa non si risolve, non si esaurisce, con la morte di Usama Bin Laden. Perché gli Usama Bin Laden sono decine di migliaia, ormai, e non stanno soltanto in Afghanistan o negli altri paesi arabi. Stanno dappertutto, e i più agguerriti stanno proprio in Occidente. Nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre università, nei gangli della tecnologia. Quella tecnologia che qualsiasi ottuso può maneggiare. La Crociata è in atto da tempo. E funziona come un orologio svizzero, sostenuta da una fede e da una perfidia paragonabile soltanto alla fede e alla perfidia di Torquemada quando gestiva l'Inquisizione. Infatti trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso.
Te lo dice una che quel tipo di fanatismo lo ha conosciuto abbastanza bene in Iran, in Pakistan, in Bangladesh, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Libia, in Giordania, in Libano, e a casa sua. Cioè in Italia. Lo ha conosciuto, ed anche attraverso episodi triviali, anzi grotteschi, ne ha avuto raggelanti conferme. Io non dimentico mai quel che mi accadde all'ambasciata iraniana di Roma quando chiesi il visto per recarmi a Teheran, per intervistare Khomeini, e mi presentai con le unghie smaltate di rosso. Per loro, segno di immoralità. Mi trattarono come una prostituta da bruciare sul rogo. Mi ingiunsero di levarlo immediatamente quel rosso. E se non gli avessi detto anzi urlato che cosa gradivo levare, anzi tagliare a loro... Non dimentico nemmeno quel che mi accadde a Qom, la città santa di Khomeini, dove in quanto donna venni respinta da tutti gli alberghi. Per intervistare Khomeini dovevo mettermi il chador, per mettermi il chador dovevo togliermi i blue jeans, per togliermi i blue jeans dovevo appartarmi, e naturalmente avrei potuto effettuare l'operazione nell'automobile con la quale ero giunta da Teheran. Ma l'interprete me lo impedì. Lei-è-pazza, lei-è-pazza, a-fare-una-cosa-simile-a-Qom-si-finisce-fucilati. Preferì portarmi all'ex Palazzo Reale dove un custode pietoso ci ospitò, ci prestò l'ex Sala del Trono. Infatti io mi sentivo come la M4donna che per dare alla luce il Bambin Gesù si rifugia insieme a Giuseppe nella stalla scaldata dall'asino e dal bue. Ma a un uomo e a una donna non sposati fra loro il Corano vieta di appartarsi dietro una porta chiusa, ahimé, e d'un tratto la porta si aprì. Il mullah addetto al Controllo della Moralità irruppe strillando vergogna-vergogna, peccato-peccato, e vi era solo un modo per non finire fucilati: sposarsi. Firmare l'atto di matrimonio a scadenza (quattro mesi) che il mullah ci sventolava sulla faccia. Il guaio è che l'interprete aveva una moglie spagnola, una certa Consuelo per nulla disposta ad accettare la poligamia, e io non volevo sposare nessuno. Tantomeno un iraniano con la moglie spagnola e nient'affatto disposta ad accettare la poligamia. Nel medesimo tempo non volevo finir fucilata ossia perdere l'intervista con Khomeini. In tal dilemma mi dibattevo e...
Ridi, ne son certa. Ti sembrano barzellette. Bè, allora il seguito di questo episodio non te lo racconto. Per farti piangere ti racconto quello dei dodici giovanotti impuri che finita la guerra del Bangladesh vidi giustiziare a Dacca. Li giustiziarono sul campo dello stadio di Dacca, a colpi di baionetta nel torace o nel ventre, e alla presenza di ventimila fedeli che dalle tribune applaudivano in nome di Diò. Tuonavano «Allah akbar, Allah akbar». Lo so, lo so: nel Colosseo gli antichi romani, quegli antichi romani di cui la mia cultura va fiera, si divertivano a veder morire i cristiani dati in pasto ai leoni. Lo so, lo so: in tutti i paesi d'Europa i cristiani, quei cristiani ai quali malgrado il mio ateismo riconosco il contributo che hanno dato alla Storia del Pensiero, si divertivano a veder bruciare gli eretici. Però è trascorso parecchio tempo, siamo diventati un pochino più civili, e anche i figli di Allah dovrebbero aver compreso che certe cose non si fanno. Dopo i dodici giovanotti impuri ammazzarono un bambino che per salvare il fratello condannato a morte s'era buttato sui giustizieri. A lui schiacciarono la testa con gli scarponi da militare. E se non ci credi, bè: rileggi la mia cronaca o la cronaca dei giornalisti francesi e tedeschi che inorriditi quanto me erano lì con me. Meglio: guardati le fotografie che uno di essi scattò. Comunque il punto che mi preme sottolineare non è questo. È che, concluso lo scempio, i ventimila fedeli (molte donne) lasciarono le tribune e scesero nel campo. Non in maniera scomposta, cialtrona, no. In maniera ordinata, solenne. Lentamente composero un corteo e, sempre in nome di Diò, passarono sopra i cadaveri. Sempre tuonando Allah-akbar, Allah-akbar. Li distrussero come le due Torri di New York. Li ridussero a un tappeto sanguinolento di ossa spiaccicate.
Oh, potrei continuare all'infinito. Dirti cose mai dette, cose da farti rizzare i capelli in testa. Su quel rimbambito di Khomeini, ad esempio, che dopo l'intervista tenne un comizio a Qom per dichiarare che io lo accusavo di tagliare i seni alle donne. Da tale comizio ricavò un video che per mesi venne trasmesso alla televisione di Teheran sicché, quando l'anno successivo tornai a Teheran, venni arrestata appena scesa dall'aereo. E la vidi brutta, sai, proprio brutta. Era il periodo degli ostaggi americani... potrei parlarti di quel Mujib Rahman che, sempre a Dacca, aveva ordinato ai suoi guerriglieri di eliminarmi in quanto europea pericolosa, e meno male che a rischio della propria vita un colonnello inglese mi salvò. O di quel palestinese di nome Habash che per venti minuti mi fece tenere un mitragliatore puntato alla testa. Diò, che gente! I soli coi quali abbia avuto un rapporto civile restano il povero Alì Bhutto cioè il primo ministro del Pakistan, morto impiccato perché troppo amico dell’Occidente, e il bravissimo re di Giordania: re Hussein. Ma quei due erano musulmani quanto io son cattolica. Comunque voglio darti la conclusione del mio ragionamento. Una conclusione che non piacerà a molti, visto che difendere la propria cultura, in Italia, sta diventando peccato mortale. E visto che intimiditi dall’impropria parola «razzista», tutti tacciono come conigli.
*** segue parte 3 di 3
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Io non vado a rizzare tende alla Mecca. Io non vado a cantar Paternostri e Avemarie dinanzi alla tomba di Maometto. Io non vado a fare pipì sui marmi delle loro moschee, non vado a fare la cacca ai piedi dei loro minareti. Quando mi trovo nei loro paesi (cosa dalla quale non traggo mai diletto) non dimentico mai d'essere un'ospite e una straniera. Sto attenta a non offenderli con abiti o gesti o comportamenti che per noi sono normali e per loro inammissibili. Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. E questo urlo di dolore e di sdegno io te l'ho scritto avendo dinanzi agli occhi immagini che non sempre mi davano le apocalittiche scene con le quali ho incominciato il discorso. A volte invece di quelle vedevo l'immagine per me simbolica (quindi infuriante) della gran tenda con cui un'estate fa i mussulmani somali sfregiarono e smerdarono e oltraggiarono per tre mesi piazza del Duomo a Firenze. La mia città.
Una tenda rizzata per biasimare condannare insultare il governo italiano che li ospitava ma non gli concedeva le carte necessarie a scorrazzare per l’Europa e non gli lasciava portare in Italia le orde dei loro parenti. Mamme, babbi, fratelli, sorelle, zii, zie, cugini, cognate incinte, e magari i parenti dei parenti. Una tenda situata accanto al bel palazzo dell'Arcivescovado sul cui marciapiede tenevano le scarpe o le ciabatte che nei loro paesi allineano fuori dalle moschee. E insieme alle scarpe o le ciabatte, le bottiglie vuote dell'acqua con cui si lavavano i piedi prima della preghiera. Una tenda posta di fronte alla cattedrale con la cupola del Brunelleschi, e a lato del Battistero con le porte d'oro del Ghiberti. Una tenda, infine, arredata come un rozzo appartamentino: sedie, tavolini, chaise-longues, materassi per dormire e per scopare, fornelli per cuocere il cibo e appestare la piazza col fumo e col puzzo. E, grazie alla consueta incoscienza dell'Enel che alle nostre opere d'arte tiene quanto tiene al nostro paesaggio, fornita di luce elettrica. Grazie a un radio-registratore, arricchita dalla vociaccia sguaiata d'un muezzin che puntualmente esortava i fedeli, assordava gli infedeli, e soffocava il suono delle campane. Insieme a tutto ciò, le gialle strisciate di urina che profanavano i marmi del Battistero. (Perbacco! Hanno la gettata lunga, questi figli di Allah! Ma come facevano a colpire l'obiettivo separato dalla ringhiera di protezione e quindi distante quasi due metri dal loro apparato urinario?) Con le gialle strisciate di urina, il fetore dello sterco che bloccava il portone di San Salvatore al Vescovo: la squisita chiesa romanica (anno Mille) che sta alle spalle di piazza del Duomo e che i figli di Allah avevano trasformato in cacatoio. Lo sai bene.
Lo sai bene perché fui io a chiamarti, pregarti di parlarne sul «Corriere», ricordi? Chiamai anche il sindaco che, glielo concedo, venne gentilmente a casa mia. Mi ascoltò, mi dette ragione. «Ha ragione, ha proprio ragione...». Ma la tenda non la tolse. Se ne dimenticò o non gli riuscì. Chiamai anche il ministro degli Esteri che era un fiorentino, anzi uno di quei fiorentini che parlano con l'accento molto fiorentino, nonché coinvolto nella faccenda. E pure lui, glielo concedo, mi ascoltò. Mi dette ragione: «Eh, sì. Ha ragione, sì». Ma per toglier la tenda non mosse un dito e, quanto ai figli di Allah che urinavano sul Battistero e smerdavano San Salvatore al Vescovo, presto li accontentò. (Mi risulta che i babbi e le mamme e i fratelli e le sorelle e gli zii e le zie e i cugini e le cognate incinte ora stiano dove volevano stare). Cioè a Firenze e in altre città d’Europa. Allora cambiai sistema. Chiamai un simpatico poliziotto che dirige l'ufficio-sicurezza e gli dissi: «Caro poliziotto, io non sono un politico. Quando dico di fare una cosa, la faccio. Inoltre conosco la guerra e di certe cose me ne intendo. Se entro domani non levate la fottuta tenda, io la brucio. Giuro sul mio onore che la brucio, che neanche un reggimento di carabinieri riuscirebbe a impedirmelo, e per questo voglio essere arrestata. Portata in galera con le manette. Così finisco su tutti i giornali». Bè, essendo più intelligente degli altri, nel giro di poche ore lui la levò. Al posto della tenda rimase soltanto un'immensa e disgustosa macchia di sudiciume. Però fu una vittoria di Pirro. Lo fu in quanto non influì per niente sugli altri scempi che da anni feriscono e umiliano quella che era la capitale dell'arte e della cultura e della bellezza, non scoraggiò per niente gli altri arrogantissimi ospiti della città: gli albanesi, i sudanesi, i bengalesi, i tunisini, gli algerini, i pakistani, i nigeriani che con tanto fervore contribuiscono al commercio della droga e della prostituzione a quanto pare non proibito dal Corano. Eh, sì: sono tutti dovi erano prima che il mio poliziotto togliesse la tenda. Dentro il piazzale degli Uffizi, ai piedi della Torre di Giotto. Dinanzi alla Loggia dell'Orcagna, intorno alle Logge del Porcellino. Di faccia alla Biblioteca Nazionale, all'entrata dei musei. Sul Ponte Vecchio dove ogni tanto si pigliano a coltellate o a revolverate. Sui Lungarni dove hanno preteso e ottenuto che il Municipio li finanziasse (Sissignori, li finanziasse). Sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo dove si ubriacano col vino e la birra e i liquori, razza di ipocriti, e dove dicono oscenità alle donne. (La scorsa estate, su quel sagrato, le dissero perfino a me che ormai sono un'antica signora. E va da sé che mal gliene incolse. Oooh, se mal gliene incolse! Uno sta ancora lì a mugulare sui suoi genitali). Nelle storiche strade dove bivaccano col pretesto di vender-la-merce. Per merce intendi borse e valige copiate dai modelli protetti da brevetto, quindi illegali, gigantografie, matite, statuette africane che i turisti ignoranti credono sculture del Bernini, roba-da-annusare. («Je connais mes droits, conosco i miei diritti» mi sibilò, sul Ponte Vecchio, uno a cui avevo visto vendere la roba-da-annusare). E guai se il cittadino protesta, guai se gli risponde quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua. «Razzista, razzista!». Guai se camminando tra la merce che blocca il passaggio un pedone gli sfiora la presunta scultura del Bernini. «Razzista, razzista!». Guai se un Vigile Urbano gli si avvicina, azzarda: «Signor figlio di Allah, Eccellenza, le dispiacerebbe spostarsi un capellino e lasciar passare la gente?». Se lo mangiano vivo. Lo aggrediscono col coltello. Come minimo, gli insultano la mamma e la progenie. «Razzista, razzista!». E la gente sopporta, rassegnata. Non reagisce nemmeno se gli gridi ciò che il mio babbo urlava durante il fascismo: «Ma non ve ne importa nulla della dignità? Non ce l'avete un po' d'orgoglio, pecoroni?».
Succede anche nelle altre città, lo so. A Torino, per esempio. Quella Torino che fece l'Italia e che ormai non sembra nemmeno una città italiana. Sembra Algeri, Dacca, Nairobi, Damasco, Beirut. A Venezia. Quella Venezia dove i piccioni di piazza San Marco sono stati sostituiti dai tappetini con la «merce» e perfino Otello si sentirebbe a disagio. A Genova. Quella Genova dove i meravigliosi palazzi che Rubens ammirava tanto sono stati sequestrati da loro e deperiscono come belle donne stuprate. A Roma. Quella Roma dove il cinismo della politica d'ogni menzogna e d'ogni colore li corteggia nella speranza d'ottenerne il futuro voto, e dove a proteggerli c'è lo stesso Papa. (Santità, perché in nome del Diò Unico non se li prende in Vaticano? A condizione che non smerdino anche la Cappella Sistina e le statue di Michelangelo e i dipinti di Raffaello: sia chiaro). Mah! Ora son io che non capisco. Anziché figli-di-Allah in Italia li chiamano «lavoratori stranieri». Oppure «mano-d'opera-di-cui-vi è-bisogno». E sul fatto che alcuni di loro lavorino, non ho alcun dubbio. Gli italiani son diventati talmente signorini. Vanno in vacanza alle Seychelles, vengon a New York per comprare i lenzuoli da Bloomingdale's. Si vergognano a fare gli operai e i contadini, e non puoi più associarli col proletariato. Ma quelli di cui parlo, che lavoratori sono? Che lavoro fanno? In che modo suppliscono al bisogno della mano d'opera che l'ex proletariato italiano non fornisce più? Bivaccando nella città col pretesto della merce-da-vendere? Bighellonando e deturpando i nostri monumenti? Pregando cinque volte al giorno? E poi c'è un'altra cosa che non capisco. Se davvero son tanto poveri, chi glieli dà i soldi per il viaggio sulla nave o sul gommone che li porta in Italia? Chi glieli dà i dieci milioni a testa (come minimo dieci milioni) necessari a comprarsi il biglietto? Non glieli darà mica Usama Bin Laden allo scopo d’avviare una conquista che non è solo una conquista di anime, è anche una conquista di territorio?
Bè, anche se non glieli dà, questa faccenda non mi convince. Anche se i nostri ospiti sono assolutamente innocenti, anche se fra loro non c'è nessuno che vuole distruggermi la Torre di Pisa o la Torre di Giotto, nessuno che vuol mettermi il chador, nessuno che vuol bruciarmi sul rogo di una nuova Inquisizione, la loro presenza mi allarma. Mi incute disagio. E sbaglia chi questa faccenda la prende alla leggera o con ottimismo. Sbaglia, soprattutto, chi paragona l'ondata migratoria che s'è abbattuta sull'Italia e sull'Europa con l'ondata migratoria che si rovesciò sull'America nella seconda metà dell'Ottocento anzi verso la fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento. Ora ti dico perché.
N on molto tempo fa mi capitò di captare una frase pronunciata da uno dei mille presidenti del Consiglio di cui l'Italia s'è onorata in pochi decenni. «Eh, anche mio zio era un emigrante! Io lo ricordo mio zio che con la valigetta di fibra partiva per l'America!». O qualcosa del genere. Eh, no, caro mio. No. Non è affatto la stessa cosa. E non lo è per due motivi abbastanza semplici.
Il primo è che nella seconda metà dell'Ottocento l'ondata migratoria in America non avvenne in maniera clandestina e per prepotenza di chi la effettuava. Furono gli americani stessi a volerla, sollecitarla. E per un preciso atto del Congresso. «Venite, venite, ché abbiamo bisogno di voi. Se venite, vi si regala un bel pezzo di terra». Ci hanno fatto anche un film, gli americani. Quello con Tom Cruise e Nicole Kidman, e del quale m'ha colpito il finale. La scena dei disgraziati che corrono per piantare la bandierina bianca sul terreno che diventerà loro, sicché solo i più giovani e i più forti ce la fanno. Gli altri restano con un palmo di naso e alcuni nella corsa muoiono. Ch’io sappia, in Italia non c'è mai stato un atto del Parlamento che invitasse anzi sollecitasse i nostri ospiti a lasciare i loro paesi. Venite-venite-ché-abbiamo-tanto-bisogno-di-voi, se-venite-vi-regaliamo-il-poderino-nel-Chianti. Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni e in barba ai finanzieri che cercavano di rimandarli indietro. Più che d’una emigrazione s’è trattato dunque d’una invasione condotta all’insegna della clandestinità. Una clandestinità che disturba perché non è mite e dolorosa. È arrogante e protetta dal cinismo dei politici che chiudono un occhio e magari tutti e due. Io non dimenticherò mai i comizi con cui l’anno scorso i clandestini riempiron le piazze d’Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini. Non li dimenticherò mai perché mi sentivo offesa dalla loro prepotenza in casa mia, e perché mi sentivo beffata dai ministri che ci dicevano: «Vorremmo rimpatriarli ma non sappiamo dove si nascondono». Stronzi! In quelle piazze ve n’erano migliaia, e non si nascondevano affatto. Per rimpatriarli sarebbe bastato metterli in fila, prego-gentile-signore-s’accomodi, e accompagnarli ad un porto od aeroporto.
Il secondo motivo, caro nipote dello zio con la valigetta di fibra, lo capirebbe anche uno scolaro delle elementari. Per esporlo bastano un paio di elementi. Uno: l’America è un continente. E nella seconda metà dell’Ottocento cioè quando il Congresso Americano dette il via all’immigrazione, questo continente era quasi spopolato. Il grosso della popolazione si condensava negli stati dell’Est ossia gli stati dalla parte dell’Atlantico, e nel Mid-West c’era ancora meno gente. La California era quasi vuota. Beh, l’Italia non è un continente. È un paese molto piccolo e tutt’altro che spopolato. Due: l’America è un paese assai giovane. Se pensi che la Guerra d’Indipendenza si svolse alla fine del 1700, ne deduci che ha appena duecento anni e capisci perché la sua identità culturale non è ancora ben definita. L’Italia, al contrario, è un paese molto vecchio. La sua storia dura da almeno tremila anni. La sua identità culturale è quindi molto precisa e bando alle chiacchiere: non prescinde da una religione che si chiama religione cristiana e da una chiesa che si chiama Chiesa Cattolica. La gente come me ha un bel dire: io-con-la-chiesa-cattolica-non-c'entro. C'entro, ahimé c'entro. Che mi piaccia o no, c'entro. E come farei a non entrarci? Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi. La prima musica che ho udito venendo al mondo è stata la musica della campane. Le campane di Santa Maria del Fiore che all'Epoca della Tenda la vociaccia sguaiata del muezzin soffocava. È in quella musica, in quel paesaggio, che sono cresciuta. È attraverso quella musica e quel paesaggio che ho imparato cos'è l'architettura, cos'è la scultura, cos'è la pittura, cos'è l'arte. È attraverso quella chiesa (poi rifiutata) che ho incominciato a chiedermi cos'è il Bene, cos'è il Male, e perdio...
Ecco: vedi? Ho scritto un'altra volta «perdio». Con tutto il mio laicismo, tutto il mio ateismo, son così intrisa di cultura cattolica che essa fa addirittura parte del mio modo d'esprimermi. Oddio, mioddio, graziaddio, perdio, Gesù mio, Diò mio, M4donna mia, Cristo qui, Cristo là. Mi vengon così spontanee, queste parole, che non m'accorgo nemmeno di pronunciarle o di scriverle. E vuoi che te la dica tutta? Sebbene al cattolicesimo non abbia mai perdonato le infamie che m'ha imposto per secoli incominciando dall'Inquisizione che m'ha pure bruciato la nonna, povera nonna, sebbene coi preti io non ci vada proprio d'accordo e delle loro preghiere non sappia proprio che farne, la musica delle campane mi piace tanto. Mi accarezza il cuore. Mi piacciono pure quei Cristi e quelle Madonne e quei Santi dipinti o scolpiti. Infatti ho la mania delle icone. Mi piacciono pure i monasteri e i conventi. Mi danno un senso di pace, a volte invidio chi ci sta. E poi ammettiamolo: le nostre cattedrali son più belle delle moschee e delle sinagoghe. Si o no? Sono più belle anche delle chiese protestanti. Guarda, il cimitero della mia famiglia è un cimitero protestante. Accoglie i morti di tutte le religioni ma è protestante. E una mia bisnonna era valdese. Una mia prozia, evangelica. La bisnonna valdese non l'ho conosciuta. La prozia evangelica, invece, sì. Quand'ero bambina mi portava sempre alle funzioni della sua chiesa in via de' Benci a Firenze, e... Diò, quanto m'annoiavo! Mi sentivo talmente sola con quei fedeli che cantavano i salmi e basta, quel prete che non era un prete e leggeva la Bibbia e basta, quella chiesa che non mi sembrava una chiesa e che a parte un piccolo pulpito aveva un gran crocifisso e basta. Niente angeli, niente Madonne, niente incenso... Mi mancava perfino il puzzo dell'incenso, e avrei voluto trovarmi nella vicina basilica di Santa Croce dove queste cose c'erano. Le cose cui ero abituata. E aggiungo: nella mia casa di campagna, in Toscana, vi è una minuscola cappella. Sta sempre chiusa. Dacché la mamma è morta non ci va nessuno. Però a volte ci vado, a spolverare, a controllare che i topi non ci abbiano fatto il nido, e nonostante la mia educazione laica mi ci trovo a mio agio. Nonostante il mio mangiapretismo, mi ci muovo con disinvoltura. E credo che la stragrande maggioranza degli italiani ti confesserebbe la medesima cosa. (A me la confessò Berlinguer).
Santiddio! (Ci risiamo). Sto dicendoti che noi italiani non siamo nelle condizioni degli americani: mosaico di gruppi etnici e religiosi, guazzabuglio di mille culture, nel medesimo tempo aperti ad ogni invasione e capaci di respingerla. Sto dicendoti che, proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un' ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell'altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti che da noi non c'è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l'Italia. E io l'Italia non gliela regalo.
***
I o sono italiana. Sbagliano gli sciocchi che mi credono ormai americana. Io la cittadinanza americana non l'ho mai chiesta. Anni fa un ambasciatore americano me la offrì sul Celebrity Status, e dopo averlo ringraziato gli risposi: «Sir, io all'America sono assai legata. Ci litigo sempre, la rimprovero sempre, eppure le sono profondamente legata. L'America è per me un amante anzi un marito al quale resterò sempre fedele. Ammesso che non mi faccia le corna. Voglio bene a questo marito. E non dimentico mai che se non si fosse scomodato a fare la guerra a Hitler e Mussolini, oggi parlerei tedesco. Non dimentico mai che se non avesse tenuto testa all' Unione Sovietica, oggi parlerei russo. Gli voglio bene e m'è simpatico. Mi piace ad esempio il fatto che quando arrivo a New York e porgo il passaporto col Certificato di Residenza, il doganiere mi dica con un gran sorriso: Welcome home. Benvenuta a casa. Mi sembra un gesto così generoso, così affettuoso. Inoltre mi ricorda che l'America è sempre stata il Refugium Peccatorum della gente senza patria. Ma io la patria ce l'ho già, Sir. La mia Patria è l'Italia, e l'Italia è la mia mamma. Sir, io amo l'Italia. E mi sembrerebbe di rinnegare la mia mamma a prendere la cittadinanza americana». Gli risposi anche che la mia lingua è l'italiano, che in italiano scrivo, che in inglese mi traduco e basta. Nello stesso spirito in cui mi traduco in francese, cioè sentendolo una lingua straniera. E poi gli risposi che quando ascolto l'Inno di Mameli mi commuovo. Che a udire quel Fratelli-d'Italia, l'Italia-s'è-desta, parapà-parapà-parapà, mi viene il nodo alla gola. Non mi accorgo nemmeno che come inno è bruttino. Penso solo: è l'inno della mia Patria. Del resto il nodo alla gola mi vien pure a guardare la bandiera bianca rossa e verde che sventola. Teppisti degli stadi a parte, s'intende. Io ho una bandiera bianca rossa e verde dell'Ottocento. Tutta piena di macchie, macchie di sangue, tutta rosa dai topi. E sebbene al centro vi sia lo stemma sabaudo (ma senza Cavour e senza Vittorio Emanuele II e senza Garibaldi che a quello stemma si inchinò noi l'Unità d'Italia non l'avremmo fatta), me la tengo come l'oro. La custodisco come un gioiello. Siamo morti per quel tricolore, Cristo! Impiccati, fucilati, decapitati. Ammazzati dagli austriaci, dal Papa, dal Duca di Modena, dai Borboni. Ci abbiamo fatto il Risorgimento, col quel tricolore. E l'Unità d'Italia, e la guerra sul Carso, e la Resistenza. Per quel tricolore il mio trisnonno materno Giobatta combatté a Curtatone e Montanara, rimase orrendamente sfregiato da un razzo austriaco. Per quel tricolore i miei zii paterni sopportarono ogni pena dentro le trincee del Carso. Per quel tricolore mio padre venne arrestato e torturato a Villa Triste dai nazi-fascisti. Per quel tricolore la mia intera famiglia fece la Resistenza e l'ho fatta anch'io. Nelle file di Giustizia e Libertà, col nome di battaglia Emilia. Avevo quattordici anni. Quando l'anno dopo mi congedarono dall'Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, mi sentii così fiera. Gesummaria, ero stata un soldato italiano! E quando venni informata che col congedo mi spettavano 14.540 lire, non sapevo se accettarle o no. Mi pareva ingiusto accettarle per aver fatto il mio dovere verso la Patria. Poi le accettai. In casa eravamo tutti senza scarpe. E con quei soldi ci comprai le scarpe per me e per le mie sorelline.
Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l'Italia d'oggi. L'Italia godereccia, furbetta, volgare degli italiani che pensano solo ad andare in pensione prima dei cinquant'anni e che si appassionano solo per le vacanze all'estero o le partite di calcio. L'Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut ma se i kamikaze di Usama Bin Laden riducono migliaia di newyorchesi a una montagna di cenere che sembra caffè macinato sghignazzan contenti bene-agli-americani-gli-sta-bene. L'Italia squallida, imbelle, senz'anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di sindaco. L'Italia ancora mussolinesca dei fascisti neri e rossi che ti inducono a ricordare la terribile battuta di Ennio Flaiano: «In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti». Non è nemmeno l'Italia dei magistrati e dei politici che ignorando la consecutio-temporum pontificano dagli schermi televisivi con mostruosi errori di sintassi. (Non si dice «Credo che è»: animali! Si dice «Credo che sia»). Non è nemmeno l'Italia dei giovani che avendo simili maestri affogano nell'ignoranza più scandalosa, nella superficialità più straziante, nel vuoto. Sicché agli errori di sintassi loro aggiungono gli errori di ortografia e se gli domandi chi erano i Carbonari, chi erano i liberali, chi era Silvio Pellico, chi era Mazzini, chi era Massimo D'Azeglio, chi era Cavour, chi era Vittorio Emanuele II, ti guardano con la pupilla spenta e la lingua pendula. Non sanno nulla al massimo sanno recitare la comoda parte degli aspiranti terroristi in tempo di pace e di democrazia, sventolare le bandiere nere, nasconder la faccia dietro i passamontagna, i piccoli sciocchi. Gli inetti. E tantomeno è l’Italia delle cicale che dopo aver letto questi appunti mi odieranno per aver scritto la verità. Tra una spaghettata e l’altra mi malediranno, mi augureranno d’essere uccisa dai loro protetti cioè da Usama Bin Laden. No, no: la mia Italia è un'Italia ideale. È l'Italia che sognavo da ragazzina, quando fui congedata dall'Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, ed ero piena di illusioni. Un'Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto. E quest'Italia, un'Italia che c’è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Perché, che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Usama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem.
Col che ti saluto affettuosamente, caro il mio Ferruccio, e t'avverto: non chiedermi più nulla. Meno che mai, di partecipare a risse o a polemiche vane. Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta.
*** fine***
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Caro Sergio grazie di cuore per questo ottimo articolo
della ottima Fallaci, che condivido "virgola per virgola",
(condividendo con lei la stesso luogo di residenza).
Precisissimi i punti sull'america , che pochissimi
giornalisti (italiani) si son mai sforzati di scrivere,
ma ci vuole esperienza e obietivita`...
Attendo ansioso il seguito.
Thx.
ps : non sono Oriana ne ho un decimo del suo talento,
ma
quando ho provato a scrivere cose simili in risposte a
dei
posts (a-l-l-u-c-i-n-a-n-t-i , per usare un tiepido
eufemismo) ,apparsi in diverse sezioni del sito, sono
stato
messo in discussione , per contenuti e modi, da
bersagli da
sputo di cui sopra, (frequentatori del sito)...
(vedi la mia opininione sul valorosissimo Giuliani,new
yorkers e americani in genere,passando per il
patriottismo,
definito aberrante da quel somaro di metroidx)
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ah, stavamo postando nello stesso momento...
grazie.
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Effettivamente l'Italia e' quella che e'... io non mi sono mai fatto delle illusioni.. checcazzo di paese e' un paese in cui devi difenderti dallo Stato?? (in cui vivi!)
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ma l'articolo e' integrale come riprodotto qui?
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Sì, dovrebbe essere l'integrale, chissà che non apra gli occhi al mondo.....
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l'ho appena finito di leggere. dovrebbe esser letto da TUTTI!
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Ho letto l'articolo della Fallaci sul Corriere quando è uscito (e sinceramente, non ho capito perché riportarlo sul sito..), e mi sembra giusto dire qualcosa al riguardo. Di cose giuste ne sono scritte, ma non tutto è a mio parere condivisibile. Per esempio quando sostiene che l'America (ed ogni altro paese definibile come "società aperta" alla Popper) è per questa caratteristica aperta anche ad attentati, e pericoli anche più sottili (penso all'uniformismo, al qualunquismo, all'intolleranza religiosa e di razza, alla difficoltà di ritrovare o scoprire le radici culturali laddove esse si confondono per far spazio a tutti, eccetera), quando afferma ciò sono d'accordo; ma dopo afferma, e temo che questo fosse la volontà della scrittrice, che nulla può impedire ad un mussulmano di iscriversi ad un corso di volo o ad una facoltà di chimica per prepararsi alla guerra batteriologica, confidando che tutto ciò cambi.
Ovviamente questo è contrario ad ogni idea di liberalismo, nè la Fallaci sembra voler essere propositiva (anzi, tutto il suo articolo non lo è), bensì lascia che la cosa cada lì, e si mette a parlare dei grattacieli di NY, simbolo scelto per l'attacco. Il vero liberale è conscio di questi pericoli, ma piuttosto che far dietrofront ai suoi principi, mette in campo una serie di accorgimenti, che garantiscano pronta prevenzione, e all’occorrenza decisa repressione legale.
Molti dicono di aver trovato in lei un nuovo Montanelli, liberale e libera come è. Beh, sono scettico……Non mi par proprio.
E' giusto che la Fallaci ci ricordi che l'America ha varato la sua carta dei diritti prima di noi europei, ma forse scorda che si dovette fare ancora molto perché fosse veramente efficace per tutti (segregazione razziale, genocidio dei nativi americani); da noi invece, quando queste libertà e diritti sono riusciti ad instaurarsi si sono veramente create situazioni di apertura e tolleranza (se sbaglio, vi prego di correggermi, fornitemi delle controprove :-)).
Condivido la sua disapprovazione per certe feroci manifestazioni di violenza del mondo islamico, ma dal suo articolo sembra che tutte le colpe siano della loro religione, non una parola è spesa per cercare di capire i percorsi storici che possono aver portato a ciò. Né trovo apprezzabile una certa violenza verbale che scaturisce dal suo articolo.
Non è riuscita a trovar niente di buono nella cultura islamica. Basti pensare che senza di loro, forse non saremmo qui a parlare a Km di distanza… senza aggiungere che nel corriere dello stesso giorno il direttore Mieli elencava un buon numero di motivi per essere debitori culturalmente all’Islam.
Ma quel che più mi sconcerta è che una persona, che molti dicono intelligente, e quindi ritengo riflessiva, come la Fallaci, non abbia pensato alle possibili conseguenze di riportare giudizi così frettolosi sulla cultura araba, che possono ingenerare in molti lettori l’idea che gli arabi siano da sempre degli animali, sporchi, e violenti e perciò meritevoli di ritorsioni se non anche di “segregazione”.
E ora voglio io essere un po’ propositivo (almeno ci provo).
La storia e la scienza politica e sociale credo insegnino che laddove esistano possibilità di crescita umanistica e laica, esistono le basi per creare, senza fretta, seguendo i tempi che il benedetto mondo impone anche agli avvenimenti umani, le fondamenta di un moderno stato democratico e liberale.
Bisogna dar loro il tempo e i modi di creare queste basi, ma se continuano a vivere nello spettro della fame, e della povertà e dell’ignoranza, dimenticati dal mondo, come potrebbero farcela? Oltretutto, (benché inevitabile) li bombardiamo, e li costringiamo ad un esodo forzato, come se questo non ci facesse pensare che l’Afganistan è il paese con più densità di mine antiuomo per km quadrato…. E che probabilmente, finito lo “show” finiranno gli aiuti.
Giovanni Sartori in un articolo in prima pagina di oggi sul corriere sosteneva che l’ipotesi anticapitalistica per spiegare i mali del mondo (disuguaglianza dei redditi, povertà e indigenza in genere) è errata, perché non si può pretendere che il capitalismo (cioè l’economia di mercato) si trasformi in ciò che non è (cioè, ma Sartori non ha il coraggio di dirlo, di aiuto per gli altri); tecnicamente ha ragione, ma la nostra economia, che è capitalista, prevede un meccanismo di riequilibrio (benché parziale, benché poi, nella pratica, mica molto funzionante…grazie a chi evade le tasse! >:-| ) delle disuguaglianze, meccanismo che passa attraverso lo stato. Perché allora non prevedere qualcosa di simile per l’ONU?
Certo i soldi non bastano (basti vedere cosa è riuscita a combinare la Banca Mondiale con i suoi prestiti senza senso, ora tutti ci rendiamo conto che è oramai persino morale cancellare il debito di questi paesi), servono idee, investimenti nell’educazione, nelle infrastrutture, serve anzitutto liberare i paesi del terzo mondo da regimi corrotti, militari o illiberali, creare le basi perché sorga una mentalità mercantilista, borghese, razionale e orientata al risultato e al guadagno. Ma per fare ciò servono garanzie (cioè diritti [proprietà, diritti civili e politici] e sicurezza, polizia), libertà (di iniziativa, di parola, di commercio e movimento), istruzione. Finché non si mettono questi paese in condizione di farlo non si può far nulla per loro.
E perché non si fa nulla? Forse non si può? Non possiamo interferire nella sovranità di questi paesi? Ma mi ricordo che molto fu fatto perché il Sudafrica rinunciasse all’apartheid, anche con minaccia di sanzioni economiche.
Io credo (e qui butto la palla al centro..) che ci siano sia interessi in gioco a tenere la situazione così come è, sia la cortezza che i tempi non sono del tutto maturi per un intervento radicale (anche forse perché in passato qualcosa si è sbagliato per giustificare che la situazione si sia evoluta così): cercare di trasformare le basi di paesi islamici per conformarli alla società occidentale significherebbe cercare di sradicare in pochi colpi società teocratiche che hanno secoli di storia e radicamento culturale. E si sa, la religione è spesso una delle poche speranze per chi non ne ha altre, e quei paesi non è che offrano molto di che sfamarsi, geograficamente parlando.
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Ma avete letto la risposta della Maraini?
Quello sì che è parlare con la testa sulle spalle.
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l'ho fatto.Bravissima.
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è sbagliato tentare di conformare i paesi islamici ai canoni occidentali... anzi più che sbagliato lo ritengo impossibile per tanti motivi... alcuni citati da gufo, il capitalismo ha bisogno di allargare la base del mercato per continuare ad espandersi, affamare alcune zone o impedirne lo sviluppo è anticapitalista per logica, se è vero che alcune zone dell'islam sono depresse e aride in tutti i sensi è pur vero che in molte altre zone la natura è stata generosa, ha donato loro una ricchezza immensa che sgorga dalla terra, ricchezza che non è mai stata condivisa nè utilizzata per sviluppare industrie e tecnologie... questo non è imputabile all'occidente, se un emiro si lava aprendo rubinetti d'oro, se naviga su barche da centinaia di miliardi, se accentra la ricchezza di uno stato solo sulla propria famiglia e lascia il proprio popolo nella fame... beh... questo non è colpa dell'occidente o del capitalismo.
Sull'onda di una moda molto in voga da qualche decennio, alcuni intellettuali, opinionisti e giornalisti, esprimono opinioni controcorrente e cavillose congetture, magari supportate da libere interpretazioni storiche, per ritagliarsi una vetrina, uno spot personale... come se fossimo ancora nell'ottocento dove masse di ingnoranti si facevano incantare dall'oratore di turno... sono queste cose che provocano fenomeni di intolleranza, in tutti i sensi, difendere l'indifendibile e proteggere caino è diventato lo sport preferito dei pensatori alternativi.
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Vi confesso che non sono riuscito a trovare la risposta
della Maraini ( che personalmente ritengo una
mediocre poetesa e scrittrice-dico:personalmente-)
alla lettera di Oriana Fallaci (ben piu ` poderosa
scrittrice e ,beh, non ha senso dirlo, giornalista)
Dal momento che ho problemi tecnici nel rintracciare
l'articolo, vi chiedo se potete passarmelo in ala-su
questo
topic-
Thx!
Ps:Mi risulta oscuro , nel post di gufo, il seguente :
cercare di trasformare le basi di paesi islamici per
conformarli alla società occidentale significherebbe
cercare di sradicare in pochi colpi società teocratiche
che hanno secoli di storia e radicamento culturale. E si
sa, la religione è spesso una delle poche speranze per
chi non ne ha altre, e quei paesi non è che offrano
molto di che sfamarsi, geograficamente parlando.
Se hai tempo ,Gufo , e leggerai questo post, puoi
chiarirmi cio` che volevi dire?
Ciao
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Avete letto la risposta di Tommasi sulla gazzetta di ieri? Lui non è uno scrittore o un giornalista, però ha delle idee chiare e spesso condivisibili.
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Stan, dove posso recuperarla?
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Mi spiace Tepa (e nn vorrei che la prendessi come una cosa personale, perchè anche nell'altro forum ho detto che non capivo la tua obiezione, nulla di personale ovviamente), ma nn ho capito cosa nn hai capito.
Cmq io volevo dire che se anche è giusto cercare di dare anche alle società islamiche una parvenza di struttura istituzionale democratica e liberale, tuttavia nn lo si fa perchè si è consci che da secoli in quelle regioni si ragiona in altri modi: la teocrazia è la forma di vita imperante (direi totalitaria), che ispira l'organizzazione politica e sociale, influenza la giurisprudenza e l'economia e la cultura. Come sperare che un cambiamento che segua i tempi umani (quindi per ragione di cose più veloce dell'abitudine e tradizione secolare) nn crei conflitti e inasprisca il sentimento di molti mussulmani di venir colonizzati culturalmente dall'occidente e di perdere la propria cultura?
D'altronde noi nn ci poniamo lo stesso dilemma quando parliamo di invasione di immigrati e di qualunquismo di molti dei nostri intellettuali che per nn rischiare neppure di apparire un pochino amanti della nostra tradizione si accaniscono a mostrarsi i più aperti possibile a qualunque contaminazione e influenza straniera?
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Ora mi e` chiaro.
Thx!
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Per Tepa
Ma il dolore non ha una bandiera
di Dacia Maraini
Cara Oriana, ho sempre ammirato la tua sincerità, il tuo coraggio. Sono stata contenta di vedere di nuovo la tua firma sul Corriere : finalmente Oriana Fallaci torna a battagliare come è nel suo carattere, mi sono detta. Bentornata in Italia! Leggendo il tuo lungo e appassionato articolo però devo dirti che l’ammirazione per il tuo coraggio si è trasformata presto in allarme per la tua incoscienza. Proprio nel momento in cui tutti, dal Papa al presidente degli Stati Uniti, cercano di distinguere fra cultura islamica e terrorismo, proprio in questa circostanza così delicata e grave per il futuro del mondo, tu te la prendi con chi non è pronto a buttarsi in una guerra di religione. Per te chi distingue fra terrorismo e Islam è un ipocrita, un «fottuto» intellettuale, meschino e spocchioso. Con questo criterio anche il Papa sarebbe un ipocrita e che dire del presidente Bush, che altrove esalti con tanta commozione? Subito dopo l’eccidio Bush è andato a visitare una moschea, l’avrai visto anche tu. Cos’è, anche lui un politico che tu metti fra i farisei e gli impostori?
«Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite e non volete capire che qui è in atto una guerra di religione»... tu scrivi con invidiabile piglio militaresco. «Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio ma alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà...».
E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente, cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri...».
Oriana, lo so, non ti si può chiedere di ragionare con calma, ma santo iddi.o, ferma un momento la tua furia e guardati intorno. Proprio New York in cui hai scelto di vivere, è la città più multietnica che esista al mondo. Nei grattacieli, lo sai, sono morti 400 musulmani. Schiacciati, soffocati o bruciati vivi, per mano di alcuni criminali.
I primi a fare le spese del fanatismo religioso sono stati proprio loro, i figli di Allah: le tante ragazze sgozzate in Algeria per la semplice ragione che frequentavano una scuola, i tanti contadini che avevano la sola colpa di coltivare la terra e pretendere di vendere i loro prodotti in un mercato misto; le tante donne che in Afghanistan sono state lapidate perché scoperte a camminare con un burqa non abbastanza lungo o non abbastanza fitto davanti agli occhi.
Non sono stati gli islamici in generale a fare l’eccidio, come non sono stati gli italiani in generale a buttare la bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano o alla stazione di Bologna, ma persone con nome e cognome. E sono queste persone che vanno scoperte e processate e condannate, come si è fatto dopo il nazismo con il processo di Norimberga. La guerra non è una risposta congrua contro il terrorismo, ma quello che servirebbe semmai è una grande operazione di polizia internazionale.
Certamente molti hanno risposto alle tue veementi parole, perché con la tua passione hai toccato un punto nevralgico, una memoria dolorosa: la paura dell’Islam ha radici lontane. C’è ancora un’eco in noi che suona con voce infantile: mamma li turchi!
«Quando è in ballo il destino dell’Occidente» tu scrivi, «la sopravvivenza della nostra civiltà va salvaguardata»! Non ti sembra di esagerare? «Se crolla l’America crolla l’Europa, crolla l’Occidente, crolliamo noi. ... E al posto delle campane, ci troviamo il muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il latte di cammella». È un allarmismo il tuo che capisco provenga da dolorose esperienze di inviata di guerra, ma finisce per resuscitare antichi odii e ancora più antiche paure assolutamente fuorvianti per riconoscere e colpire i reali colpevoli di questa strage.
Non puoi dire che in Italia «le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di fare saltare in aria la Cupola di San Pietro», perché non è vero. Proprio in questi giorni a Palermo, a Napoli ci sono state delle manifestazioni di arabi e di italiani per ricordare i morti uccisi dal terrorismo a Manhattan. Non puoi criminalizzare tante persone che lavorano, pregano e portano avanti con dignità una difficile vita di esilio. «Mi spieghi signor cavaliere, sono così incapaci i suoi poliziotti e carabinieri? Sono così coglioni i suoi servizi segreti? Sono così scemi i suoi funzionari?» insisti tu con aria da inquisitrice. «Oppure a fare le indagini giuste, a individuare e arrestare chi finoggi non avete individuato e arrestato, lei teme di subire il solito ricatto razzista-razzista?».
Ma Oriana, se proprio il Paese che tu porti ad esempio non è stato capace di prevenire quell’orrore, perché pensi che avrebbe dovuto farlo il nostro? Il terrorismo è vile, vive di finzioni, si mimetizza, finge, inganna, si insinua, approfitta della buona fede e della libertà, che come giustamente dici, sono le grandi conquiste dei Paesi non dominati da una teocrazia. A me sembra che proprio l’enormità del progetto abbia impedito di vederlo e prevenirlo. L’idea di trasformare dei pacifici aerei di linea in micidiali ordigni di morte per migliaia di innocenti era difficile da immaginare. Gli anarchici che uccidevano un re o un capo di Stato sembrano, a guardarli oggi, dei bambini intenti a giocare coi soldatini. Eppure anche loro hanno cambiato il corso della storia. Ma gli anarchici si rivolgevano ad una persona precisa, che ritenevano colpevole di qualcosa di grave (assassinii, torture, abusi di potere, ecc.) mentre qui, in pieno periodo di pace, con l’inganno più sfrontato e imprevedibile, si è infierito contro degli innocenti assolutamente ignari del pericolo che incombeva su di loro. Uno sterminio di massa portato a termine con tanta sfrontatezza e tanta mostruosa gelata insensibilità è fuori da ogni previsione.
Masochisti tu dici «siamo masochisti perché, vogliamo farlo questo discorso sul contrasto fra le due culture?». E qui con foga impaziente sostieni che non vuoi nemmeno sentire parlare di due culture, perché le si metterebbero sullo stesso piano «come fossero due realtà parallele». E parti come un ciclone a fare quello che chiunque abbia una briciola di buon senso ti direbbe non si può fare: una comparazione fra civiltà. Non c’è bisogno di avere studiato antropologia (un’arte squisitamente europea, figlia di una cultura illuminista, attenta verso l’altro, il diverso), per sapere che ogni confronto fra culture è insensato. In quanto la civiltà è in movimento, non ha niente di monolitico, sfugge al concetto di bene e di male. Ogni cultura, anche la più apparentemente primitiva, vive di valori, di regole, con una sua cosmogonia e una sua rete di relazioni e di beni affettivi che non possono essere disprezzate mai, per nessuna ragione. Non è inferiore un congolese perché va scalzo a pescare i pesci con la lancia e muore di Aids a trent’anni. Qualcuno potrebbe raccontarci che una terra ricchissima, la sua, piena di diamanti e di rame, è stata devastata, sequestrata e rapinata da chi aveva soldi e fucili, lasciando quell’uomo all’età della pietra. Ogni essere umano fa parte di un sistema di conoscenze e di opinioni più o meno sfortunato, più o meno vincente, ma sempre degno di vivere dignitosamente nel rispetto altrui. C’è stato un periodo in cui la civiltà africana contava più di Roma e di Atene. Per non parlare dell’Islam, fra l’altro molto vicino a noi. «Siamo figli dello stesso Di.o» ha detto umilmente papa Wojtyla. Per molti secoli l’Islam ha insegnato all’Europa come contare le stelle, come calcolare la distanza dei pianeti, come pensare e scrivere le operazioni matematiche.
Le civiltà salgono e scendono, hanno momenti di prosperità e momenti di stasi e di povertà. Ma certamente è folle attribuire ai poveri la colpa di essere tali. Anche perché spesso, in nome della superiorità di razza e di un Di.o severo, proprio chi si sentiva dalla parte del Bene e della Verità ha derubato, confiscato, schiavizzato chi considerava «ignorante e selvaggio».
Lasciamo stare il discorso sulle civiltà. Dopo millenni di odii e di guerre per lo meno dovremmo avere imparato questo: che il dolore non ha bandiera. Che ciò a cui aspira la maggioranza delle persone è una convivenza pacifica fra individui di diversa cultura e diversa fede.
Proprio le torri di Manhattan visibilmente ci dicono una cosa sacrosanta: che la civiltà oggi è fatta di un crogiolo di culture diverse. In quelle torri ferite a morte convivevano civilmente persone di quaranta nazionalità. L’America non sarebbe quella che è se non avesse accolto nel suo seno i neri d’Africa, i musulmani d’oriente, i cinesi, i giapponesi, gli irlandesi, eccetera. L’America che tu ami non ha avuto paura di perdere la sua identità (eppure qualcuno che non voleva riconoscere dignità ai lavoratori stranieri c’era anche allora, erano i Sudisti, e per conquistare la libertà di pensiero e di tolleranza è stata fatta una guerra civile sanguinosissima). È la migliore America quella che ha vinto, l’America dell’accoglienza e della solidarietà. Io stessa in questi giorni lo sto provando sulla mia pelle cosa vuol dire multietnicità. Mia nipote, figlia di mia sorella e di un conosciuto pittore marocchino, ha sposato un irlandese americano da cui ha avuto un bambino che in questi giorni è stato battezzato nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. Il bambino, Fosco Gabriele, porta in sé il seme di civiltà diverse: da grande parlerà l’inglese, l’arabo, l’italiano e il francese. Non per questo la civiltà occidentale sarà messa in pericolo.
Il fatto è che i Paesi ricchi e potenti possono permettersi delle libertà a cui i Paesi poveri spesso non hanno accesso: la libertà di parola, la libertà di pensiero, la libertà di istruzione, la libertà della democrazia e della ricerca scientifica e artistica. Sapere accogliere il diverso è una conquista, una forza, non una debolezza. Sono le nazioni che si sentono ai margini della storia, che hanno difficoltà di sopravvivenza, che affrontano il futuro con dolore e frustrazione a trovarsi impelagate nell’odio. Così come si odiano delle persone costrette a condividere una casa di trenta metri quadrati, che dispongono di una sola pagnotta per dieci bocche, che vedono morire i figli per malattie che altrove vengono curate e guarite. Essere ricchi e potenti non vuol dire automaticamente essere migliori. Ma certamente vuol dire avere più responsabilità. E mi sembra che in questo momento il Presidente Bush e i suoi consiglieri stiano dimostrando molta sensatezza nel distinguere, chiarire, prendere le distanze dall’odio appunto e dalla vendetta. Mi è sembrata anche ottima l’idea di andare a frugare nei conti di questi terroristi miliardari. È lì che si annidano le prove dell’orribile delitto pensato a freddo e commesso in nome di un Di.o pazzo e crudele.
Tu parli degli emigrati che approdano sulle nostre coste con sommo disprezzo quasi fossero loro i responsabili dell’eccidio: «Più che di una emigrazione si è trattato di una invasione condotta all’insegna della clandestinità. Io non dimenticherò mai i comizi in cui l’anno scorso i clandestini riempirono le piazze d’Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini»... Strano, come ognuno veda quello che vuole vedere. Non so se guardando meglio, senza prevenzioni, avresti scorto quello che ho scorto io e tanti altri con me: la disperazione di chi aveva lasciato la casa e il paese per sfuggire ad una guerra feroce o per cercare un lavoro, anche il più umile, purché gli permettesse di sopravvivere. Certo in mezzo a loro sono scesi anche dei delinquenti, tali e quali a quelli di casa nostra. Ma guai a non distinguere i giusti dagli ingiusti! Si fa una grave offesa alla verità.
Non puoi non vedere che la maggioranza degli emigrati sono povera gente che non sa dove sbattere la testa. E scappano, come scappano gli afghani in questi giorni, dalle loro case, per paura delle bombe e della miseria. Non riesco proprio a capire come tu possa dire, con tanta baldanza: «peggio per loro»! «Se in alcuni Paesi le donne sono così stupide da accettare il chador, peggio per loro. Se sono così scimunite da accettar di non andare a scuola, non andare dal dottore, non farsi fotografare eccetera, peggio per loro. Se sono così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio per loro»! Eppure tu sai benissimo che quelle donne rischiano la vita solo nel mostrare una mano nuda. Non è una scelta la loro ma una orribile imposizione da dittatura militare... Io sono stata in Afghanistan molto prima dei talebani e ho conosciuto donne che facevano l’avvocato, l’insegnante e non erano nascoste e infagottate come fantasmi. Ma tu non distingui: «Usama Bin Laden afferma che l’intero pianeta Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all’Islam, che con le buone o le cattive lui ci convertirà che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci». Perché non chiamarlo invece per quello che è: un atto di terrorismo fondamentalista che come tale va giudicato e combattuto? Se lo trasformi nella prima mossa di una guerra santa, fai solo il loro gioco. È una trappola, Oriana, in cui mi sembra che tu sia caduta con tutti e due i piedi, spinta dall’impetuosità travolgente e il coraggio - se mi permetti in questo caso un poco donchisciottesco - che ti sono propri.
In quanto ai kamikaze, tu dici di non avere pietà per loro. Ma non pensi che sia molto più spregevole e indegno di pietà chi li indottrina, chi li manda a morire, chi arriva a fargli credere che il loro corpo vale meno di una mina, meno di un fucile? Ho sentito una donna araba dire: però non mandano i propri figli a uccidere e morire: mandano i figli degli altri. Ecco chi è degno di disprezzo e di esecrazione: un gruppo di fanatici che trasforma degli esseri umani, dei ragazzini spesso adolescenti, in oggetti di morte e tutto per dimostrare il loro potere, la loro ideologia, la loro fede, il loro fanatismo. Ma quale Di.o può essere tanto sanguinario e nemico dell’essere umano da chiedere tali sacrifici?
Tu dici che la tua ira è esplosa quando hai saputo che in Italia, come in Palestina la gente ha gioito per l’attentato terroristico alle due torri di Manhattan. Sei stata male informata: posso garantirti che nessuno in Italia si è rallegrato per l’orribile scempio. Non si è vista una sola immagine di festa o di compiacimento, né in televisione né per strada né altrove. Quello che si è visto è stato solo stupore, paura, indignazione, orrore. Tutti abbiamo fissato lo sguardo su quell’obbrobrio, tutti abbiamo osservato impotenti, con le lagrime agli occhi, quei corpi che si sporgevano disperati lungo le pareti dei grattacieli, incerti se gettarsi di sotto o affrontare una morte per fuoco: bruciati vivi, innocenti e giovani. Una morte di massa che ha sconvolto le nostre immaginazioni e le nostre aspettative per il futuro. Ti ripeto che nessuno in Italia ha esultato. D’altronde in quelle torri c’erano centinaia di italiani. Che sono stati ridotti a pezzi e possiamo chiamare fortunati quelli che sono morti subito, perché alcuni hanno languito sotto le macerie provando disperatamente a telefonare a casa, - come dimenticare quelle voci che nell’orrore dello strazio mandavano coraggiosamente messaggi di amore ai propri cari? - ma come individuarli? come tirarli fuori? A volte noi cerchiamo di scrollarci di dosso il peso intollerabile delle sofferenze altrui. E chiudiamo gli occhi. Ma quando la morte diventa una rappresentazione in diretta, non puoi serrare le palpebre, non puoi voltare le spalle: sei coinvolto fino in fondo, muori un poco anche tu. E noi siamo tutti un poco morti, lanciandoci nel vuoto come quei poveri infelici che abbiamo visto agitarsi per tanti lunghissimi momenti, prima di sfracellarsi al suolo.
«Il terrorismo è l’assassinio dell’innocente», scrive Salman Rushdie. Questa volta si è trattato di un assassinio di massa. «Giustificare una simile atrocità biasimando la politica degli Stati Uniti significa ricusare l’idea stessa della moralità: che gli individui siano responsabili delle loro azioni!». Il fondamentalista terrorista è contro la libertà di parola, contro il voto universale, contro gli stati democratici, contro i diritti delle donne, contro il pluralismo... «Ma questi sono tiranni non musulmani!». Non ti sembrano parole sagge? Fra l’altro l’Islam ha sempre avuto parole dure contro il suicidio, ci ricorda sempre Rushdie, «un gesto che il suicida è condannato a ripetere per tutta l’eternità». Bisognerebbe fare una analisi, suggerisce lo scrittore per capire come mai tanti fedeli siano attirati da questa forma di disobbedienza alle parole di Maometto. «Così come l’Occidente deve fare i conti con i suoi Unabomber, (con i suoi terroristi irlandesi o baschi), l’Islam dovrebbe fare i conti con i suoi Bin Laden», conclude Rushdie e mi sembrano parole precise e acute. La schizofrenia, il delirio di onnipotenza, l’uso perverso della tecnologia, l’accumulo maniacale del denaro, non sono indicativi né della religione cattolica né della religione musulmana, anche se alcuni individui affamati di successo e di potere hanno adoperato le due fedi per imporre le proprie ragioni di morte e di terrore. Trattiamoli come tali, processiamoli pubblicamente, ma evitiamo le guerre che colpiscono sempre e soprattutto gli innocenti.
Un caro saluto da Dacia Maraini.
5 ottobre 2001
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Grazie mille Chanel!
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Grazie anche da parte mia per il lavoro di copiatura. Bravissima.
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e un 10 e lode alla Maraini
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Butto anche questo nel calderone...
Gino Strada: "Con la guerra si prepara solo un'altra guerra"
Emergency prepara un team mobile da mandare a Kabul
08/10/01
GIANNI MURA
Milano - «Se non fosse tragico sarebbe comico. Rischiamo di cadere nel baratro ascoltando le fesserie di Buttiglione». È stanca e tesa la voce di Gino Strada dall'ospedale di Emergency, nel Panshir. Non gli ha migliorato l'umore la partecipazione a " Porta a porta". «Questo signore dice che da noi i feriti non possono arrivare? Il primo che mi arriva da Bagram lo filmiamo e spediamo il video al colonnello Buttiglione, notoriamente esperto dei luoghi. Oppure gli racconto di un bambino di 10 anni, sempre di Bagram. Se ne stava in giardino a farsi gli affari suoi, è caduto a terra con un proiettile nel torace che uscendo gli ha spezzato la clavicola. È quasi guarito, a giorni lo dimettiamo, ma da quattro notti non dorme. Ti si aggrappa, piange, ha una nevrosi traumatica. È una vittima, come quelle che ha già fatto non la guerra, ma, prima ancora, i venti di guerra».
Ma al nord dovreste essere tranquilli.
«Qui infatti non è successo niente. Andando in cima alla montagna si vedono bagliori su Kabul. Nessun rumore. Ma tante piccole cose fanno pensare che l'Alleanza del nord sta preparando l'offensiva. Intanto è cambiata la vita della gente, che già in maggioranza passava la giornata a racimolare quello che avrebbe mangiato il giorno dopo. Si mangia pane più piccolo, la farina è aumentata del 30 per cento. Una settimana fa un dollaro si cambiava a 70 mila afghani, adesso a 30 mila. Il conflitto interno era già ripreso. Adesso abbiamo 60 letti occupati, ma stiamo aumentando lo spazio per i prossimi giorni, dalla zona di Cherikar ci hanno già annunciato degli arrivi».
In sottofondo, sembra di ascoltare la tivù italiana. O è un'impressione?
«È vero. Anche per questo sono incazzato. Perché, naturalmente, sento parlare di guerra chirurgica. E di effetti collaterali. Vorrei ricordare che gli effetti collaterali, formula comoda e un po' troppo disinvolta, hanno sempre un nome, una storia, un corpo. E avrebbero avuto un futuro. Adesso la tivù sta dicendo che a Kandahar e Kabul sono state colpite abitazioni civili dove si pensava abitasse Bin Laden. Un film già visto. Sto parlando di un paese che già viveva da decenni in miseria. Ci sono stati morti di fame, non sarà elegante ma va detto. Mi lasci ricordare, perché è importante, la campagna che Emergency sta facendo con la Caritas per l'invio di medicinali in Afghanistan. La scorta attuale non copre più di dieci giorni».
Ha parlato con qualcuno dell'Alleanza del nord? Cosa hanno in programma?
«Sono stato sabato sera a casa di Abdullah, il ministro degli Esteri. Abbiamo discusso di problemi immediati. Uno dei primi sarà quello di creare un team mobile da mandare a Kabul, una Kabul senza Taliban, per riaprire l'ospedale chiuso il 17 maggio. E adesso qui siamo in pena per quelli che ci lavorano, che lo sorvegliano, che lo tengono pulito, tutto personale afghano. I contatti attualmente sono interrotti. Da qui si fatica a capire qual è il capo e qual è la coda. Però si sa che a un Cruise tirato da una portaerei risponde la cannonata di un Taliban e la cannonata di un mujahiddin e nove su dieci di quelli che ci lasciano la pelle sono donne e bambini. Senta, è da quando siamo piccoli che ce la menano col si vis pacem para bellum dei latini. Non è vero, è vero l'esatto contrario. Se vuoi la pace prepara la pace. Con la guerra si prepara solo la prossima guerra. In momenti così, parole come pacifista hanno un suono strano, per qualcuno equivoco, esattamente come utopista. Allora cerco di essere chiaro. Per me nessuno, dico nessuno, di quelli che ammazzano ha ragione. Ma questa guerra, nata ufficialmente con l'attacco di oggi, nasce da prima degli spaventosi fatti dell'11 settembre. Non possiamo non metterci a ragionare, perché ci troviamo di fronte a situazioni che in sei mesi possono cambiare radicalmente la nostra vita».
Per esempio?
«I figli del nostro vicino di casa, con cui giocano i nostri figli, saranno kamikaze o no? Andremo tranquillamente allo stadio? Siamo pronti a passare quattro ore in aeroporto per i controlli prima di volare da Milano a Roma? Io non sono contro l'America né tantomeno filoTaliban. Sono contro i pazzi, in buona parte con l'attenuante di una stupidità profonda, che pensano di risolvere in questo modo i problemi del mondo. Molti da noi pensano che siano faccende lontane, che non ci riguardano, ma non è così, stavolta non è così. Ci siamo dentro fino al collo».
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Grazie, Mallory!
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Ho avuto, grazie a voi,la possibilita' di confrontrare con questi articoli,le opinioni di TRE ITALIANI.
1) L'opinione di un'italiana ( a prescindere dalla sua professione che le ha concesso di conoscere meglio le civilta' orientali) che vive in America.
2) L'opinione di un'italiana che vive in Italia .
3) L'opinione di un medico senza frontiere che vive in oriente.
Mi e' sembrato che le opinioni cambiano in base al luogo
in cui queste persone vivono.
Qual'e' l'opinione che si avvicina piu' alla verita'?
O forse tutti hanno ragione per il fatto di vivere queste realta' nel posto in cui vivono e non possono pensare diversamente perche' tutto cio' che li circonda li porta a pensare in quel modo ?
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l'ultima che hai detto,credo.Però per me una cosa è certa:che in ogni situazione si debbano per prima cosa analizzare i fatti in maniera obiettiva,perchè almeno su ciò che è reale credo che nessuno avrebbe nulla da ridire.E'stato possibile farlo per la Maraini proprio perchè non ha vissuto la tragedia che ha colpito la Fallaci.La sua bella lettera è stata scritta in un momento drammatico,e credo che questa sia la causa principale dei vari "incidenti di percorso"(o svarioni,o cadute di stile che dir si voglia) contenuti in essa e poi raddrizzati dalla Maraini.Credo infine che scopo principale della pubblicazione della lettera sul Corsera sua stato appunto quello di fornire un'istantanea della guerra,molto sincero perchè appunto privo di quell'obiettività e coerenza che,di questo siamo tutti certi,la Fallaci riacquisterà non appena superato lo shock della tragedia.Il fatto che poi la gente ci abbia costruto sopra delle opinioni significa che non ha capito nulla.
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Lia ti offro un altra opinione italiana da aggiungere al mazzo.
Lo so, sono lunghissimi questi articoli.. ma credo vada la pena di leggerli tutti indistintamente.
Grazie a Chanel per avermelo mandato.
Le guerre sante passione e ragione
di UMBERTO ECO
Che qualcuno abbia, nei giorni scorsi, pronunciato parole inopportune sulla superiorità della cultura occidentale, sarebbe un fatto secondario. E' secondario che qualcuno dica una cosa che ritiene giusta ma nel momento sbagliato, ed è secondario che qualcuno creda a una cosa ingiusta o comunque sbagliata, perché il mondo è pieno di gente che crede a cose ingiuste e sbagliate, persino un signore che si chiama Bin Laden, che forse è più ricco del nostro presidente del Consiglio e ha studiato in migliori università. Quello che non è secondario, e che deve preoccupare un poco tutti, politici, leader religiosi, educatori, è che certe espressioni, o addirittura interi e appassionati articoli che in qualche modo le hanno legittimate, diventino materia di discussione generale, occupino la mente dei giovani, e magari li inducano a conclusioni passionali dettate dall'emozione del momento. Mi preoccupo dei giovani perché tanto, ai vecchi, la testa non la si cambia più.
Tutte le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo per secoli sono nate da adesioni passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e gli Altri, buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura occidentale si è dimostrata feconda (non solo dall'Illuminismo a oggi ma anche prima, quando il francescano Ruggero Bacone invitava a imparare le lingue perché abbiamo qualcosa da apprendere anche dagli infedeli) è anche perché si è sforzata di "sciogliere", alla luce dell'indagine e dello spirito critico, le semplificazioni dannose. Naturalmente non lo ha fatto sempre, perché fanno parte della storia della cultura occidentale anche Hitler, che bruciava i libri, condannava l' arte "degenerata", uccideva gli appartenenti alle razze "inferiori", o il fascismo che mi insegnava a scuola a recitare "D io stramaledica gli inglesi" perché erano "il popolo dei cinque pasti" e dunque dei ghiottoni inferiori all'italiano parco e spartano.
Ma sono gli aspetti migliori della nostra cultura quelli che dobbiamo discutere coi giovani, e di ogni colore, se non vogliamo che crollino nuove torri anche nei giorni che essi vivranno dopo di noi. Un elemento di confusione è che spesso non si riesce a cogliere la differenza tra l'identificazione con le proprie radici, il capire chi ha altre radici e il giudicare ciò che è bene o male. Quanto a radici, se mi chiedessero se preferirei passare gli anni della pensione in un paesino del Monferrato, nella maestosa cornice del parco nazionale dell'Abruzzo o nelle dolci colline del senese, sceglierei il Monferrato. Ma ciò non comporta che giudichi altre regioni italiane inferiori al Piemonte.
Quindi se, con le sue parole (pronunciate per gli occidentali ma cancellate per gli arabi), il presidente del Consiglio voleva dire che preferisce vivere ad Arcore piuttosto che a Kabul, e farsi curare in un ospedale milanese piuttosto che in uno di Bagdad, sarei pronto a sottoscrivere la sua opinione (Arcore a parte). E questo anche se mi dicessero che a Bagdad hanno istituito l'ospedale più attrezzato del mondo: a Milano mi troverei più a casa mia, e questo influirebbe anche sulle mie capacità di ripresa. Le radici possono essere anche più ampie di quelle regionali o nazionali. Preferirei vivere a Limoges, tanto per dire, che a Mosca. Ma come, Mosca non è una città bellissima? Certamente, ma a Limoges capirei la lingua. Insomma, ciascuno si identifica con la cultura in cui è cresciuto e i casi di trapianto radicale, che pure ci sono, sono una minoranza. Lawrence d'Arabia si vestiva addirittura come gli arabi, ma alla fine è tornato a casa propria.
***
Passiamo ora al confronto di civiltà, perché è questo il punto. L'Occidente, sia pure e spesso per ragioni di espansione economica, è stato curioso delle altre civiltà. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i greci chiamavano barbari, e cioè balbuzienti, coloro che non parlavano la loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei greci più maturi come gli stoici (forse perché alcuni di loro erano di origine fenicia) hanno ben presto avvertito che i barbari usavano parole diverse da quelle greche, ma si riferivano agli stessi pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con grande rispetto usi e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia cristiana medievale cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici e astrologi arabi, gli uomini del Rinascimento hanno persino esagerato nel loro tentativo di ricuperare perdute saggezze orientali, dai Caldei agli Egizi, Montesquieu ha cercato di capire come un persiano potesse vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i loro primi studi sui rapporti dei salesiani, che andavano sì presso i Bororo per convertirli, se possibile, ma anche per capire quale fosse il loro modo di pensare e di vivere forse memori del fatto che missionari di alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le civiltà amerindie e ne avevano incoraggiato lo sterminio.
Ho nominato gli antropologi. Non dico cosa nuova se ricordo che, dalla metà del XIX secolo in avanti, l'antropologia culturale si è sviluppata come tentativo di sanare il rimorso dell'Occidente nei confronti degli Altri, e specialmente di quegli Altri che erano definiti selvaggi, società senza storia, popoli primitivi. L'Occidente coi selvaggi non era stato tenero: li aveva "scoperti", aveva tentato di evangelizzarli, li aveva sfruttati, molti ne aveva ridotto in schiavitù, tra l'altro con l'aiuto degli arabi, perché le navi degli schiavi venivano scaricate a New Orleans da raffinati gentiluomini di origine francese, ma stivate sulle coste africane da trafficanti musulmani. L'antropologia culturale (che poteva prosperare grazie all'espansione coloniale) cercava di riparare ai peccati del colonialismo mostrando che quelle culture "altre" erano appunto delle culture, con le loro credenze, i loro riti, le loro abitudini, ragionevolissime del contesto in cui si erano sviluppate, e assolutamente organiche, vale a dire che si reggevano su una loro logica interna. Il compito dell'antropologo culturale era di dimostrare che esistevano delle logiche diverse da quelle occidentali, e che andavano prese sul serio, non disprezzate e represse.
Questo non voleva dire che gli antropologi, una volta spiegata la logica degli Altri, decidessero di vivere come loro; anzi, tranne pochi casi, finito il loro pluriennale lavoro oltremare se ne tornavano a consumare una serena vecchiaia nel Devonshire o in Piccardia. Però leggendo i loro libri qualcuno potrebbe pensare che l'antropologia culturale sostenga una posizione relativistica, e affermi che una cultura vale l'altra. Non mi pare sia così. Al massimo l'antropologo ci diceva che, sino a che gli Altri se ne stavano a casa propria, bisognava rispettare il loro modo di vivere.
***
La vera lezione che si deve trarre dall'antropologia culturale è piuttosto che, per dire se una cultura è superiore a un'altra, bisogna fissare dei parametri. Un conto è dire che cosa sia una cultura e un conto dire in base a quali parametri la giudichiamo. Una cultura può essere descritta in modo passabilmente oggettivo: queste persone si comportano così, credono negli spiriti o in un'unica divinità che pervade di sé tutta la natura, si uniscono in clan parentali secondo queste regole, ritengono che sia bello trafiggersi il naso con degli anelli (potrebbe essere una descrizione della cultura giovanile in Occidente), ritengono impura la carne di maiale, si circoncidono, allevano i cani per metterli in pentola nei dì festivi o, come ancor dicono gli americani dei francesi, mangiano le rane.
L'antropologo ovviamente sa che l'obiettività viene sempre messa in crisi da tanti fattori. L'anno scorso sono stato nei paesi Dogon e ho chiesto a un ragazzino se fosse musulmano. Lui mi ha risposto, in francese, "no, sono animista". Ora, credetemi, un animista non si definisce animista se non ha almeno preso un diploma alla Ecole des Hautes Etudes di Parigi, e quindi quel bambino parlava della propria cultura così come gliela avevano definita gli antropologi. Gli antropologi africani mi raccontavano che quando arriva un antropologo europeo i Dogon, ormai scafatissimi, gli raccontano quello che aveva scritto tanti anni fa un antropologo, Griaule (al quale però, così almeno asserivano gli amici africani colti, gli informatori indigeni avevano raccontato cose abbastanza slegate tra loro che poi lui aveva riunito in un sistema affascinante ma di dubbia autenticità). Tuttavia, fatta la tara di tutti i malintesi possibili di una cultura "altra" si può avere una descrizione abbastanza "neutra". I parametri di giudizio sono un'altra cosa, dipendono dalle nostre radici, dalle nostre preferenze, dalle nostre abitudini, dalle nostre passioni, da un nostro sistema di valori. Facciamo un esempio. Riteniamo noi che il prolungare la vita media da quaranta a ottant'anni sia un valore? Io personalmente lo credo, però molti mistici potrebbero dirmi che, tra un crapulone che campa ottant'anni e san Luigi Gonzaga che ne campa ventitré, è il secondo che ha avuto una vita più piena. Ma ammettiamo che l'allungamento della vita sia un valore: se è così la medicina e la scienza occidentale sono certamente superiori a molti altri saperi e pratiche mediche.
Crediamo che lo sviluppo tecnologico, l'espansione dei commerci, la rapidità dei trasporti siano un valore? Moltissimi la pensano così, e hanno diritto di giudicare superiore la nostra civiltà tecnologica. Ma, proprio all'interno del mondo occidentale, ci sono coloro che reputano valore primario una vita in armonia con un ambiente incorrotto, e dunque sono pronti a rinunciare ad aerei, automobili, frigoriferi, per intrecciare canestri e muoversi a piedi di villaggio in villaggio, pur di non avere il buco dell'ozono. E dunque vedete che, per definire una cultura migliore dell'altra, non basta descriverla (come fa l'antropologo) ma occorre il richiamo a un sistema di valori a cui riteniamo di non potere rinunciare. Solo a questo punto possiamo dire che la nostra cultura, per noi, è migliore.
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In questi giorni si è assistito a varie difese di culture diverse in base a parametri discutibili. Proprio l'altro giorno leggevo una lettera a un grande quotidiano dove si chiedeva sarcasticamente come mai i premi Nobel vanno solo agli occidentali e non agli orientali. A parte il fatto che si trattava di un ignorante che non sapeva quanti premi Nobel per la letteratura sono andati a persone di pelle nera e a grandi scrittori islamici, a parte che il premio Nobel per la fisica del 1979 è andato a un pakistano che si chiama Abdus Salam, affermare che riconoscimenti per la scienza vanno naturalmente a chi lavora nell'ambito della scienza occidentale è scoprire l'acqua calda, perché nessuno ha mai messo in dubbio che la scienza e la tecnologia occidentali siano oggi all'avanguardia. All'avanguardia di cosa? Della scienza e della tecnologia. Quanto è assoluto il parametro dello sviluppo tecnologico? Il Pakistan ha la bomba atomica e l'Italia no. Dunque noi siamo una civiltà inferiore? Meglio vivere a Islamabad che ad Arcore?
I sostenitori del dialogo ci richiamano al rispetto del mondo islamico ricordando che ha dato uomini come Avicenna (che tra l'altro è nato a Buchara, non molto lontano dall'Afghanistan) e Averroè - ed è un peccato che si citino sempre questi due, come fossero gli unici, e non si parli di Al Kindi, Avenpace, Avicebron, Ibn Tufayl, o di quel grande storico del XIV secolo che fu Ibn Khaldun, che l'Occidente considera addirittura l'iniziatore delle scienze sociali. Ci ricordano che gli arabi di Spagna coltivavano geografia, astronomia, matematica o medicina quando nel mondo cristiano si era molto più indietro. Tutte cose verissime, ma questi non sono argomenti, perché a ragionare così si dovrebbe dire che Vinci, nobile comune toscano, è superiore a New York, perché a Vinci nasceva Leonardo quando a Manhattan quattro indiani stavano seduti per terra ad aspettare per più di centocinquant'anni che arrivassero gli olandesi a comperargli l'intera penisola per ventiquattro dollari. E invece no, senza offesa per nessuno, oggi il centro del mondo è New York e non Vinci.
Le cose cambiano. Non serve ricordare che gli arabi di Spagna erano assai tolleranti con cristiani ed ebrei mentre da noi si assalivano i ghetti, o che il Saladino, quando ha riconquistato Gerusalemme, è stato più misericorD ioso coi cristiani di quanto non fossero stati i cristiani con i saraceni quando Gerusalemme l'avevano conquistata. Tutte cose esatte, ma nel mondo islamico ci sono oggi regimi fondamentalisti e teocratici che i cristiani non li tollerano e Bin Laden non è stato misericorD ioso con New York. La Battriana è stato un incrocio di grandi civiltà, ma oggi i talebani prendono a cannonate i Buddha. Di converso, i francesi hanno fatto il massacro della Notte di San Bartolomeo, ma questo non autorizza nessuno a dire che oggi siano dei barbari.
Non andiamo a scomodare la storia perché è un'arma a doppio taglio. I turchi impalavano (ed è male) ma i bizantini ortodossi cavavano gli occhi ai parenti pericolosi e i cattolici bruciavano Giordano Bruno; i pirati saraceni ne facevano di cotte e di crude, ma i corsari di sua maestà britannica, con tanto di patente, mettevano a fuoco le colonie spagnole nei carabi; Bin Laden e Saddam Hussein sono nemici feroci della civiltà occidentale, ma all'interno della civiltà occidentale abbiamo avuto signori che si chiamavano Hitler o Stalin (Stalin era così cattivo che è sempre stato definito come orientale, anche se aveva studiato in seminario e letto Marx).
No, il problema dei parametri non si pone in chiave storica, bensì in chiave contemporanea. Ora, una delle cose lodevoli delle culture occidentali (libere e pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo irrinunciabili) è che si sono accorte da gran tempo che la stessa persona può essere portata a manovrare parametri diversi, e mutuamente contraddittori, su questioni differenti. Per esempio si reputa un bene l'allungamento della vita e un male l'inquinamento atmosferico, ma avvertiamo benissimo che forse, per avere i grandi laboratori in cui si studia l'allungamento della vita, occorre avere un sistema di comunicazioni e rifornimento energetico che poi, dal canto proprio, produce l'inquinamento. La cultura occidentale ha elaborato la capacità di mettere liberamente a nudo le sue proprie contraddizioni.
Magari non le risolve, ma sa che ci sono, e lo dice. In fin dei conti tutto il dibattito su globale-sì e globale-no sta qui, tranne che per le tute nere spaccatutto: come è sopportabile una quota di globalizzazione positiva evitando i rischi e le ingiustizie della globalizzazione perversa, come si può allungare la vita anche ai milioni di africani che muoiono di Aids (e nel contempo allungare anche la nostra) senza accettare una economia planetaria che fa morire di fame gli ammalati di Aids e fa ingoiare cibi inquinati a noi?
Ma proprio questa critica dei parametri, che l'Occidente persegue e incoraggia, ci fa capire come la questione dei parametri sia delicata. E' giusto e civile proteggere il segreto bancario? Moltissimi ritengono di sì. Ma se questa segretezza permette ai terroristi di tenere i loro soldi nella City di Londra? Allora, la difesa della cosiddetta privacy è un valore positivo o dubbio? Noi mettiamo continuamente in discussione i nostri parametri. Il mondo occidentale lo fa a tal punto che consente ai propri cittadini di rifiutare come positivo il parametro dello sviluppo tecnologico e di diventare buddisti o di andare a vivere in comunità dove non si usano i pneumatici, neppure per i carretti a cavalli. La scuola deve insegnare ad analizzare e discutere i parametri su cui si reggono le nostre affermazioni passionali.
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Il problema che l'antropologia culturale non ha risolto è cosa si fa quando il membro di una cultura, i cui principi abbiamo magari imparato a rispettare, viene a vivere in casa nostra. In realtà la maggior parte delle reazioni razziste in Occidente non è dovuta al fatto che degli animisti vivano nel Mali (basta che se ne stiano a casa propria, dice infatti la Lega), ma che gli animisti vengano a vivere da noi. E passi per gli animisti, o per chi vuole pregare in direzione della Mecca, ma se vogliono portare il chador, se vogliono infibulare le loro ragazze, se (come accade per certe sette occidentali) rifiutano le trasfusioni di sangue ai loro bambini ammalati, se l'ultimo mangiatore d'uomini della Nuova Guinea (ammesso che ci sia ancora) vuole emigrare da noi e farsi arrosto un giovanotto almeno ogni domenica?
Sul mangiatore d'uomini siamo tutti d'accordo, lo si mette in galera (ma specialmente perché non sono un miliardo), sulle ragazze che vanno a scuola col chador non vedo perché fare tragedie se a loro piace così, sulla infibulazione il dibattito è invece aperto (c'è persino chi è stato così tollerante da suggerire di farle gestire dalle unità sanitarie locali, così l'igiene è salva), ma cosa facciamo per esempio con la richiesta che le donne musulmane possano essere fotografate sul passaporto col velo? Abbiamo delle leggi, uguali per tutti, che stabiliscono dei criteri di identificazione dei cittadini, e non credo si possa deflettervi. Io quando ho visitato una moschea mi sono tolto le scarpe, perché rispettavo le leggi e le usanze del paese ospite. Come la mettiamo con la foto velata?
Credo che in questi casi si possa negoziare. In fondo le foto dei passaporti sono sempre infedeli e servono a quel che servono, si studino delle tessere magnetiche che reagiscono all'impronta del pollice, chi vuole questo trattamento privilegiato ne paghi l'eventuale sovrapprezzo. E se poi queste donne frequenteranno le nostre scuole potrebbero anche venire a conoscenza di diritti che non credevano di avere, così come molti occidentali sono andati alle scuole coraniche e hanno deciso liberamente di farsi musulmani. Riflettere sui nostri parametri significa anche decidere che siamo pronti a tollerare tutto, ma che certe cose sono per noi intollerabili.
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L'Occidente ha dedicato fondi ed energie a studiare usi e costumi degli Altri, ma nessuno ha mai veramente consentito agli Altri di studiare usi e costumi dell'Occidente, se non nelle scuole tenute oltremare dai bianchi, o consentendo agli Altri più ricchi di andare a studiare a Oxford o a Parigi - e poi si vede cosa succede, studiano in Occidente e poi tornano a casa a organizzare movimenti fondamentalisti, perché si sentono legati ai loro compatrioti che quegli studi non li possono fare (la storia è peraltro vecchia, e per l'indipendenza dell'India si sono battuti intellettuali che avevano studiato con gli inglesi).
Antichi viaggiatori arabi e cinesi avevano studiato qualcosa dei paesi dove tramonta il sole, ma sono cose di cui sappiamo abbastanza poco. Quanti antropologi africani o cinesi sono venuti a studiare l'Occidente per raccontarlo non solo ai propri concittadini, ma anche a noi, dico raccontare a noi come loro ci vedono? Esiste da alcuni anni una organizzazione internazionale chiamata Transcultura che si batte per una "antropologia alternativa". Ha condotto stuD iosi africani che non erano mai stati in Occidente a descrivere la provincia francese e la società bolognese, e vi assicuro che quando noi europei abbiamo letto che due delle osservazioni più stupite riguardavano il fatto che gli europei portano a passeggio i loro cani e che in riva al mare si mettono nudi - beh, dico, lo sguardo reciproco ha incominciato a funzionare da ambo le parti, e ne sono nate discussioni interessanti.
In questo momento, in vista di un convegno finale che si svolgerà a Bruxelles a novembre, tre cinesi, un filosofo, un antropologo e un artista, stanno terminando il loro viaggio di Marco Polo alla rovescia, salvo che anziché limitarsi a scrivere il loro Milione registrano e filmano. Alla fine non so cosa le loro osservazioni potranno spiegare ai cinesi, ma so che cosa potranno spiegare anche a noi. Immaginate che fondamentalisti musulmani vengano invitati a condurre studi sul fondamentalismo cristiano (questa volta non c'entrano i cattolici, sono protestanti americani, più fanatici di un ayatollah, che cercano di espungere dalle scuole ogni riferimento a Darwin). Bene, io credo che lo stuD io antropologico del fondamentalismo altrui possa servire a capire meglio la natura del proprio. Vengano a studiare il nostro concetto di guerra santa (potrei consigliare loro molti scritti interessanti, anche recenti) e forse vedrebbero con occhio più critico l'idea di guerra santa in casa loro. In fondo noi occidentali abbiamo riflettuto sui limiti del nostro modo di pensare proprio descrivendo la pensée sauvage.
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Uno dei valori di cui la civiltà occidentale parla molto è l'accettazione delle differenze. Teoricamente siamo tutti d'accordo, è politically correct dire in pubblico di qualcuno che è gay, ma poi a casa si dice ridacchiando che è un frocio. Come si fa a insegnare l'accettazione della differenza? L'Academie Universelle des Cultures ha messo in linea un sito dove si stanno elaborando materiali su temi diversi (colore, religione, usi e costumi e così via) per gli educatori di qualsiasi paese che vogliano insegnare ai loro scolari come si accettano coloro che sono diversi da loro. Anzitutto si è deciso di non dire bugie ai bambini, affermando che tutti siamo uguali. I bambini si accorgono benissimo che alcuni vicini di casa o compagni di scuola non sono uguali a loro, hanno una pelle di colore diverso, gli occhi tagliati a mandorla, i capelli più ricci o più lisci, mangiano cose strane, non fanno la prima comunione. Né basta dirgli che sono tutti figli di D io, perché anche gli animali sono figli di D io, eppure i ragazzi non hanno mai visto una capra in cattedra a insegnargli l'ortografia. Dunque bisogna dire ai bambini che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e spiegare bene in che cosa sono diversi, per poi mostrare che queste diversità possono essere una fonte di ricchezza.
Il maestro di una città italiana dovrebbe aiutare i suoi bambini italiani a capire perché altri ragazzi pregano una divinità diversa, o suonano una musica che non sembra il rock. Naturalmente lo stesso deve fare un educatore cinese con bambini cinesi che vivono accanto a una comunità cristiana. Il passo successivo sarà mostrare che c'è qualcosa in comune tra la nostra e la loro musica, e che anche il loro D io raccomanda alcune cose buone. Obiezione possibile: noi lo faremo a Firenze, ma poi lo faranno anche a Kabul? Bene, questa obiezione è quanto di più lontano possa esserci dai valori della civiltà occidentale. Noi siamo una civiltà pluralistica perché consentiamo che a casa nostra vengano erette delle moschee, e non possiamo rinunciarvi solo perché a Kabul mettono in prigione i propagandisti cristiani. Se lo facessimo diventeremmo talebani anche noi.
Il parametro della tolleranza della diversità è certamente uno dei più forti e dei meno discutibili, e noi giudichiamo matura la nostra cultura perché sa tollerare la diversità, e barbari quegli stessi appartenenti alla nostra cultura che non la tollerano. Punto e basta. Altrimenti sarebbe come se decidessimo che, se in una certa area del globo ci sono ancora cannibali, noi andiamo a mangiarli così imparano. Noi speriamo che, visto che permettiamo le moschee a casa nostra, un giorno ci siano chiese cristiane o non si bombardino i Buddha a casa loro. Questo se crediamo nella bontà dei nostri parametri.
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Molta è la confusione sotto il cielo. Di questi tempi avvengono cose molto curiose. Pare che difesa dei valori dell'Occidente sia diventata una bandiera della destra, mentre la sinistra è come al solito filo islamica. Ora, a parte il fatto che c'è una destra e c'è un cattolicesimo integrista decisamente terzomondista, filoarabo e via dicendo, non si tiene conto di un fenomeno storico che sta sotto gli occhi di tutti. La difesa dei valori della scienza, dello sviluppo tecnologico e della cultura occidentale moderna in genere è stata sempre una caratteristica delle ali laiche e progressiste. Non solo, ma a una ideologia del progresso tecnologico e scientifico si sono richiamati tutti i regimi comunisti. Il Manifesto del 1848 si apre con un elogio spassionato dell'espansione borghese; Marx non dice che bisogna invertire la rotta e passare al modo di produzione asiatico, dice solo che questi di questi valori e di questi successi si debbono impadronire i proletari.
Di converso è sempre stato il pensiero reazionario (nel senso più nobile del termine), almeno a cominciare col rifiuto della rivoluzione francese, che si è opposto all'ideologia laica del progresso affermando che si deve tornare ai valori della Tradizione. Solo alcuni gruppi neonazisti si rifanno a una idea mitica dell'Occidente e sarebbero pronti a sgozzare tutti i musulmani a Stonehenge. I più seri tra i pensatori della Tradizione (tra cui anche molti che votano Alleanza Nazionale) si sono sempre rivolti, oltre che a riti e miti dei popoli primitivi, o alla lezione buddista, proprio all'Islam, come fonte ancora attuale di spiritualità alternativa. Sono sempre stati lì a ricordarci che noi non siamo superiori, bensì inariditi dall'ideologia del progresso, e che la verità dobbiamo andarla a cercare tra i mistici Sufi o tra i dervisci danzanti. E queste cose non le dico io, le hanno sempre dette loro. Basta andare in una libreria e cercare negli scaffali giusti.
In questo senso a destra si sta aprendo ora una curiosa spaccatura. Ma forse è solo segno che nei momenti di grande smarrimento (e certamente viviamo uno di questi) nessuno sa più da che parte sta. Però è proprio nei momenti di smarrimento che bisogna sapere usare l'arma dell'analisi e della critica, delle nostre superstizioni come di quelle altrui. Spero che di queste cose si discuta nelle scuole, e non solo nelle conferenze stampa.
(5 ottobre 2001)
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Grazie Mallory.
Nessun problema se sono lunghi,
perche' li stampo e poi li leggo con calma.
Ciao.lia
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'ddirittura?
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Altro giro, altro regalo..
Buona lettura, a chi ne ha voglia.
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Chi ha allevato il ragno?
di Giulietto Chiesa
(9 ottobre 2001)
Un ragno velenoso ha punto l'Occidente. L'Occidente vuole schiacciare il ragno velenoso, che si trova in Afghanistan. E, per questo, intende colpire il regime che lo ha protetto e ospitato, con tutti i mezzi a propria disposizione.
Legittima difesa. Guerra contro il terrorismo. Fino a qui la logica è ineccepibile e sembra assistere l'Occidente.
Il problema si complica quando si cerca di capire chi è l'allevatore di ragni velenosi. Non è difficile scoprire che esistono tre soggetti indiziati in cima alla lista dei sospetti. Si tratta di - in ordine alfabetico - Arabia Saudita, Emirati Arabi, Pakistan. Questi tre paesi sono stati gli unici a riconoscere il regime dei taliban quando esso arrivò al potere a Kabul nel 1996. E hanno continuato a riconoscere i taliban fino agli eventi dell'11 settembre 2001.
L'Occidente colpisce con tutta la sua forza l'Afghanistan, che è il sintomo, non la malattia. Che è la tana del ragno, ma non è colui che lo ha fatto nascere e lo ha allevato. Quello che è peggio, dal punto di vista della logica elementare, è il fatto che l'Occidente, per schiacciare il ragno, faccia uso dell'appoggio politico e militare di tutti e tre i peggiori indiziati. E, quando si dice indiziati si usa un eufemismo: nel caso del Pakistan gl'indizi sono già prove schiaccianti. Il regime dei taliban non esisterebbe se non fosse stato creato, letteralmente dal nulla, con un'operazione assolutamente artificiale, dai servizi segreti militari di quell paese. Quegli stessi servizi segreti che, per conto della CIA, organizzarono, armarono, finanziarono l'alleanza dei "sette partiti di Peshawar" che servì come punta di lancia per sconfiggere i sovietici.
Che il regime arabo saudita sia stato finanziatore del fondamentalismo islamico non c'è bisogno di dimostrazione.
Per giunta l'Occidente ha dovuto inserire questi tre paesi in un'alleanza che non ha nulla di democratico, perchè tutti e tre sono o dittature (come il Pakistan) o regimi monarchici senza costituzione democratica (come gli altri due).
Ne consegue che, per bene che vada, si potrà cambiare il regime a Kabul, si potrà distruggere tutto ciò che resta di infrastrutture militari (e civili) dell'Afghanistan, ma gli allevatori di ragni velenosi resteranno al loro posto, impuniti e pronti a ripetere, ove loro convenisse. Ed è - si badi bene - l'ipotesi più ottimistica, perchè nulla dice che in questo modo si porterà la pace a Kabul.
Ma - si potrebbe obiettare - esiste una realpolitic da cui non si può prescindere. Questi paesi sono necessari, per ragioni logistiche e di vicinanza territoriale, prima di tutto, per infliggere un colpo al rifugio del ragno e per eliminare il ragno. Anche questo sembra sorretto dalla logica, sebbene si tratti di una logica piuttosto ripugnante, perchè usa due pesi e due misure, a seconda della convenienza. Se i valori democratici sono un opzional per i potenti del mondo, è inevitabile, alla lunga, che il resto del mondo li consideri una variabile superflua. Per cui diventa poi impossibile chiedere il loro rispetto. Il ragno si rafforza in questo modo. Lo si può anche uccidere, ma lo si sarà aiutato, prima di morire, a figliare migliaia di altri ragni altrettanto velenosi.
E resta sempre aperto il problema posto all'inizio: perchè si chiudono gli occhi di fronte alla necessità di colpire gli allevatori di ragni velenosi e, anzi, li si considera amici?
Ma c'è anche un altro angolo visuale, un altro metro di misura, per rispondere alla domanda fondamentale: l'Occidente sta facendo la cosa giusta (nel senso di funzionale, utile, a prescindere dai suoi connotati etici) per liberarsi del ragno, anzi dei ragni velenosi? L'operazione di attacco all'Afghanistan è un passo nella direzione giusta? Il bilancio di questi pochi giorni di bombardamenti e di Guerra già registra due disastri le cui conseguenze appaiono irreparabili, punti di non ritorno.
Il Pakistan è precipitato in una crisi politica e istituzionale che non ha precedenti nella sua storia. Un colosso di 140 milioni di abitanti, dotato di bomba atomica, è in preda a una convulsione terrificante. Proprio perchè lo si è dovuto trascinare nell'alleanza contro il ragno che aveva nutrito, ricavandone grandi utili.
Lo stato palestinese, trascinato anch'esso a viva forza nell'alleanza, dopo averlo costretto a difendere la sua esistenza minima di fronte all'assalto di Sharon, è ormai alle prese con una rivolta interna che potrebbe portare al comando le forze meno laiche e più fondamentaliste. Migliaia di giovani palestinesi inneggiano ormai a Osama bin Laden. E Osama, il ragno velenoso, proprio mentre si sta cercando di schiacciarlo, sta diventando la bandiera, l'eroe, il martire di tutto il mondo islamico più estremista e feroce nel suo odio integrale contro l'Occidente e i suoi valori.
I risultati sono già catastrofici fin dai primi passi di questa strategia. Davanti a noi - ci è stato annunciato - si stagliano altre guerre, altri stati da colpire, altri obiettivi da liquidare, per lungo tempo. Quello che già sta accadendo - l'ondata anti-occidentale in tutto il mondo islamico - si moltiplicherà per intensità e per estensione. Altri regimi islamici amici dell'Occidente possono essere messi in pericolo grave, e crollare. Andare avanti su questa strada è catastrofico in primo luogo per l'Occidente. Non occorre scomodare la morale, le vittime civili, la barbarie della vendetta che chiama altra vendetta. Sono, prima di tutto la saggezza e il realismo a consigliare subito un "cessate il fuoco" di questa Guerra senza fine e a indirizzare l'alleanza contro il terrorismo verso una ricerca effettiva delle sue sorgenti.
Il che comporta, per l'America e per l'Occidente, una riflessione autocritica sul mondo che essi hanno creato, con la loro potenza e la loro superiorità tecnologica. Questo è il compito più difficile. Il ragno sta dimostrando di saper usare assai bene il cumulo d'ingiustizie prodotto da una globalizzazione insensate ed egoista. Si sta facendo questa nuova Guerra proprio perchè non si vuole affrontare il compito di questa riflessione.
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Lia l'opinione che si avvicina piu' alla realta' e'.. la realta'.. la dura e cruda realta'.. il resto e' tutta teoria... se non utopia.....
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Ma beato chiunque si corica tranquillo la sera in questi giorni.. che ha capito tutto, che sa che questa è la cosa giusta, che non ha domande da porsi, che non si sente ignorante ed egoista, che si fida, che ha le idee chiare, che non ha un dubbio neanche a cercarlo con la lente!
Beato te che stai così! Io t'invidio perchè proprio non ci riesco.
Senza alcuna ironia o polemica, è davvero così che mi sento.
Ignorante, egoista, dubbiosa, diffidente, preoccupata.. e rompicatzo! (questo da sempre )
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beati?a me piuttosto sembrerebbero degli idioti
per fortuna però non ne ho ancora visto uno...
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Ecco qui un bel pezzo a firma di Giovanni Sartori. Dove
con garbo e puntualita` vengono corretti alcuni vizietti di
fondo (l'ignoranza,la miopia e la malafede ,valori cosi`
cari agli scriba italiesi e dai quali, nonostante la
distanza di 7500 km vengo puntualmente "raggiunto" e
infastidito )
Chi magari esultava o assegnava dieci e lode (ma non
lo si
dava alle elementari?!) a destra e a manca-non so `
ancora
su quale arcana base-lo dovrebbe leggere
attentamente,
corroborandolo -usando un metodo suggeritomi da
Gufo- con
la lettura di qualche altro libruzzo, o quotidiano. O
tutt'al piu` togliere il prosciutto dagli occhi e prestare
piu` attenzione a cio` che accade badando ai goffi
tentativi di interpretazione/rappresentazione.
Buona lettura.
Uditi i critici ha ragione Oriana
di Giovanni Sartori
Oriana Fallaci è fiorentina. Lo è anche Tiziano Terzani.
E Dacia Maraini lo è a metà (per parte di padre, Fosco
Maraini). Se nella querelle entro anche io - visto che
anche io sono fiorentino - tutti insieme facciamo quasi
un en plein . I fiorentini sono anche contrariosi e
litigiosi. E quindi lite sia / per poter dire la mia. Dacia
Maraini esordisce ( Corriere del 29/9) con «Cara
Oriana». Si vede che per metà fiorentina non è. Perché
quell’esordio è semmai torinese: falso e cortese.
«Cara» un fico secco. Nel capoverso che segue la cara
Maraini dichiara alla cara Fallaci che «l’ammirazione
per il tuo coraggio si è trasformata presto in un allarme
per la tua incoscienza». Per una donna di gentile
aspetto e di modi garbati, questa è secca davvero.
Almeno Tiziano Terzani ( Corriere dell’8/10) esordisce
con «Oriana» e basta, senza «carinità», senza falsa
cortesia. Giusto. Visto che il Nostro scrive così: «Nelle
tue parole sembra morire il meglio della testa umana,
la ragione; il meglio del cuore, la compassione». Con
questo supplemento: «La tua brillante lezione di
intolleranza ora influenza tanti giovani e questo mi
inquieta». Per una persona dalla faccia orientalizzata
(e, si suppone, di religione contemplativa) queste
uscite sono di rarissima pesantezza. Deve essere un
richiamo della foresta, un ritorno di fiamma fiorentino.
Non è una grande scoperta che tutti noi leggiamo
selettivamente e con dei paraocchi.
Ma questa volta la distanza selettiva delle letture è stata
davvero straordinaria. Come risulterà dalla
discussione. Dalla quale si ricava - ne anticipo la
conclusione - che Oriana Fallaci deve aver ragione,
visto che i suoi assaltanti hanno abbondantemente
torto. All’inizio mi sono lasciato un po’ incantare dal
flauto di Terzani, dal suo dire che «dubitare è una
funzione essenziale del pensiero, il dubbio è il fondo
della nostra cultura». Oddio, questo è il fondo della
cultura di Amleto. Cartesio non scriveva «dubito quindi
sono», ma cogito ergo sum . Il dubbio deve dunque
essere inserito nel cogito , nel pensare. E il dubitare di
Terzani - come vedremo - non lo è.
Umberto Eco dice su Repubblica che lui si preoccupa
«dei giovani perché tanto ai vecchi la testa non cambia
più». Sarei curioso di sapere qual è la categoria nella
quale Eco colloca se stesso, se tra i vecchi o no.
Comunque sia, io di me stesso lo so: per i giovani
sono uno stravecchio. Il che non toglie - sorpresa,
sorpresa - che la mia testa sia tutta un frullo di
cambiamenti. Nel ’68 scrivevo - proprio sul Corriere -
che la cosiddetta rivoluzione studentesca preparava
l’avvento della asinocrazia, del trionfo degli asini. Il che
mi costringeva, nella mia testa, a vedere con
diminuitissimo ottimismo il progredire della
democrazia. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino
notavo che la «democrazia senza nemico» era molto
più difficile da gestire della democrazia minacciata da
un nemico. Il che mi induceva a riorientare la mia testa
su questo nuovo problema. E siccome già scrivevo
della altissima vulnerabilità della società tecnologica
negli anni Settanta, l’11 settembre non mi ha preso del
tutto alla sprovvista. Mi sono subito detto: questa è
Hiroshima Due; ancora un inedito, e un inedito ancora
più terrorizzante di Hiroshima Uno. Nel 1945 c’era la
guerra e si sapeva con certezza che la resa (del
Giappone) fermava anche il bombardamento atomico
americano. Oggi i confini tra guerra e pace si sono
annebbiati, e oggi nulla ferma più niente. La
polverizzazione delle due torri di Manhattan prefigura un
orripilante scenario di «atomiche di pace» (per così
riassumere) che ci possono colpire ogni giorno e che
massacrano alla cieca.
Dunque, da un mese io mi sto rifacendo - bene o male
- una testa nuova che cerca di capire e di fronteggiare
una nuovissima (nonché orribilissima) realtà. Invece
per la Maraini e Terzani è quasi come se non fosse
successo niente di nuovo. In entrambi ripassa il dejavu
di sempre, ripassano i ritornelli di sempre. Saranno
anche giovani, certo più giovani in anni di me; ma per il
criterio di Umberto Eco la loro testa è già vecchia assai.
Dacia Maraini è una bravissima scrittrice di romanzi
che leggo sempre con piacere; ma nel suo discettare
etico-politico ritrovo soltanto gli stanchi luoghi comuni
del terzomondismo politicamente corretto. Tiziano
Terzani ci ha raccontato con finezza e bravura dell’Asia;
ma quando cita - come ricette di salvezza - San
Francesco d’Assisi, Gandhi e poi, scendendo di
parecchi chilometri, padre Balducci e il mio collega
(alla Columbia University) Edward Said, allora cita a
sproposito. Personalmente io preferisco i Domenicani
ai Francescani. Concedo che Il Cantico di Frate Sole è
un testo di un candore commovente. Ma quel candore
non può essere trasferito da una età davvero primitiva
all’età ultracomplicata del terzo millennio. Quanto a
Gandhi, lui aveva a che fare con gli inglesi, e noi non
abbiamo a che fare con dei Gandhi. E padre Balducci?
Pochi sanno chi fosse. Ma a Firenze negli anni nei
quali padre Balducci affascinava il colto e l’inclita (e
anche, a quanto pare, Terzani) c’ero anch’io; e ricordo
un dibattito nel quale lui attaccò così smodatamente il
Papa da costringere il sottoscritto, laico abbastanza
catafratto, a fare il papalino, il papofilo. Bel personaggio
quel padre Balducci! Ma sempre più bello del
cupissimo Edward Said, che scrive bene ma razzola
malissimo. Il fatto che Said sia palestinese lo legittima
nel suo essere pro palestinesi. Ma non mi risulta che
Said abbia mai condannato i suoi uomini-bomba, ed
esiste una fotografia che lo coglie, in zona Gaza, che
lancia un sasso «intifadico» contro gli israeliani. Lui
sarebbe un fautore di «campi di comprensione invece
di campi di battaglia»? On aura toutvu, se ne vedono (e
sentono) proprio di tutte.
Terzani scrive: «A te, Oriana, i kamikaze non
interessano. A me tanto, invece». Dopodiché cita i
giapponesi che hanno dato origine al nome, le tigri
Tamil, i palestinesi di Hamas. Fine lì. Terzani è troppo
vecchio, direbbe Eco, per afferrare che i kamikaze di
New York sono animali del tutto diversi da quelli che lui
sta ancora studiando. I kamikaze all’antica - diciamo -
si immolano per una loro patria, sono «locali». La loro
causa è concreta e circoscritta. I suicidi di New York e
del Pentagono, e quelli che verranno nella loro scia,
sono «globali» e la loro patria è il Corano, è una fede
religiosa. Non si battono per una loro madrepatria, per
la patria nella quale sono nati, ma per un mondo
islamizzato che combatte e punisce gli infedeli. Fa una
bella differenza. Che però a Terzani sfugge.
Il Nostro prosegue così: «Non si tratta di giustificare, di
condonare, ma di capire. Capire, perché io sono
convinto che il problema del terrorismo non si risolve
uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li
rendono tali». Sante parole, ma soltanto parole.
Asserire che il problema del terrorismo non si risolve
uccidendo i terroristi è come asserire che il problema
della criminalità non si risolve arrestando e
condannando i criminali. Vero; ma quale sarebbe
l’alternativa? Eliminare le prigioni e rinviare i criminali a
uno «studio Terzani» nel quale possono essere
studiati e compresi? Se Terzani ci sta, io ci sto. Mi
fornisca l’indirizzo e io proporrò (alla Basaglia) che le
prigioni vengano abolite e che i loro inquilini lo vadano
a trovare nella sua baita nell’Himalaya. Poi veda lui.
Il punto serio è, comunque, che il problema del
terrorismo deve essere spiegato dalle ragioni che lo
motivano. Ma Terzani lo spiega asserendo che l’attacco
alle Torri Gemelle «certo non è l’atto di una guerra di
religione degli estremisti musulmani». Per una
persona che esordisce dichiarando di non avere
certezze e che per lui la nostra civiltà è la civiltà del
dubbio, questa asserzione è stonata. Ed è anche
infondata. Perché Terzani la sostiene citando un
collega americano di nessuna particolare eminenza
(uno tra centomila) per il quale gli «assassini suicidi
dell’11 settembre non hanno attaccato l’America ma la
politica estera americana», colpevole, tra l’altro, di aver
mantenuto, nonostante la fine della guerra fredda,
«circa 800 installazioni militari nel mondo». Davvero
formidabili questi fondamentalisti addestrati da Bin
Laden. Sapevano, sanno, cose che non sapevo
nemmeno io. Faccio ammenda. Dopodiché passo lo
stesso a dichiarare che questa è una spiegazione
risibile. Come ho già spiegato su questo giornale, chi
capisce così non capisce nulla.
Terzani osserva che «se alla violenza dell’attacco alle
Torri Gemelle noi rispondiamo con ancora più terribile
violenza... alla nostra ne seguirà una loro ancora più
orribile e così via». Certo, la violenza chiama violenza.
Ma, intanto, non è lecito equiparare la violenza di chi
inizia con la violenza di chi si difende. Uno mi spara
addosso. Io, dopo, gli rispondo contro-sparando. È la
stessa cosa? Ovviamente no. Ciò fermato, qual è
l’alternativa? Subire la violenza, farsi violentare senza
reagire, fermare la violenza? Non è mai successo. Né
succederà, questo è sicuro, con il terrorismo islamico.
A proposito, i terroristi chi sono? Cosa li caratterizza? E,
quindi, come li dobbiamo definire? Dopo aver
menzionato i kamikaze giapponesi, i Tamil e i
palestinesi di Hamas, Terzani scopre le sue carte:
dobbiamo accettare - dichiara - che anche il presidente
della Union Carbide (il richiamo è alla esplosione della
fabbrica chimica di Bhopal, in India, nel 1984) sia
percepito come un terrorista. Perché dobbiamo
accettare che «per altri» (il Nostro non si scopre e non
lascia capire se lui si includa nei suddetti altri; ma
sospetto di sì) il terrorista «possa essere l’uomo di
affari che arriva in un Paese povero del Terzo Mondo»
per fare, come fa, soltanto i suoi sporchi affari. Terzani
si rende conto di averla sparata grossa, e mette le
mani avanti. Questo - avverte - «non è relativismo.
Voglio solo dire che il terrorismo come modo di usare
la violenza può esprimersi in varie forme, a volte anche
economiche». Difatti questo non è relativismo; è
pasticciare tutto, è incapacità di distinguere, incapacità
di usare (come prescritto da Cartesio) idee chiare e
distinte. E fa specie che Terzani si lanci all’attacco di
Oriana Fallaci accusando lei di attentare «al meglio
della testa umana, alla ragione». Perché qui è lui che
va in clamoroso autogol. L’Union Carbide come (quasi
come) Al Qaeda? Gianni Agnelli come (quasi come)
Bin Laden? Alla stregua di questa logica anche Terzani
sarebbe un terrorista, perché «usa violenza» alla
logica. Il punto è che il terrorismo non può essere
definito soltanto come «modo di usare violenza». A
metterla così tutto è terrorismo, e perciò stesso (nota
Mario Pirani) nulla è terrorismo. Ma per chi ragiona e sa
ragionare queste sono soltanto sciocchezze.
Vengo a Dacia Maraini. Che addirittura si appella al
Papa: «Nel momento in cui tutti, dal Papa al presidente
degli Stati Uniti cercano di distinguere tra Islam e
terrorismo, tu te la prendi con chi non è pronto a
buttarsi in una guerra di religione. Per te chi distingue
tra terrorismo e Islam è un ipocrita, un fottuto
intellettuale. Con questo criterio anche il Papa sarebbe
un ipocrita». Ma occorre davvero arrivare a un
combattimento a colpi bassi, a colpi di Papa?
Rileggiamo assieme il testo incriminato, che dice: «Qui
è in atto una guerra di religione, forse voluta e
dichiarata soltanto da una frangia di quella religione,
ma comunque una guerra di religione». D’accordo, a
livello diplomatico dobbiamo essere prudenti,
dobbiamo sottacere. Ma Galli della Loggia ( Corriere
del 4/10) ha benissimo spiegato che le prudenze
diplomatiche sono una cosa e la verità dei fatti un’altra.
E il fatto è che l’ostilità dei cosiddetti Stati arabi
«moderati» verso il terrorismo «non nasce da un loro
supposto moderatismo, nasce dalla paura del
radicalismo militante».
Difatti i governi in questione non sono in grado di
«tradurre la loro paura dell’estremismo in una
qualunque battaglia ideologico-culturale a favore di una
versione moderata dell’Islam... Dalle società del fronte
cosiddetto moderato non è mai venuta una condanna
esplicita contro la sentenza di morte dei mullah iraniani
a carico di Salman Rushdie, contro le pene degradanti
e inumane... contro la bestiale persecuzione di cristiani
in Sudan...». Il fatto è, allora, che il fanatismo
fondamentalista non può essere messo in
discussione in nessuno Stato musulmano «perché ciò
equivarrebbe a mettere in discussione in modo
pubblico il Corano». Il che è tutto esatto.
Allora, quale sarebbe il terribile, vergognoso sbaglio di
Oriana Fallaci? Forse sta nell’aver detto «forse». Invece
avrebbe dovuto dire: qui è in atto una guerra di religione
«anche se» voluta e dichiarata soltanto da una frangia
di quella religione. Ma l’ira di Dacia Maraini non può
essere stata scatenata da così poco. Potrebbe essere
stata innescata dall’attacco di Oriana Fallaci a una
Italia «stupida, vigliacca... imbelle, senza anima»? Non
vorrei mai che la Maraini si sia sentita in qualche modo
inclusa in quel ritratto. Sarebbe peccato.
Sia come sia, qui mi interessa la Maraini che ci leziona
su come le culture e/o le civiltà siano o non siano da
paragonare. L’attacco è questo: Tu (Oriana) «con foga
impaziente sostieni che non vuoi nemmeno sentire
parlare di due culture, perché le si metterebbero sullo
stesso piano... E parti come un ciclone a fare quel che
chiunque abbia un briciolo di buon senso ti direbbe
che non si può fare: una comparazione fra civiltà».
Fermi: qui stiamo parlando di culture o di civiltà? Dacia
Maraini evidentemente confonde le due cose. Il che,
vedremo, è una grave «fallacia».
Ma prima continuiamo a citare: «Non c’è bisogno di
aver studiato antropologia per sapere che ogni
confronto tra culture è insensato. In quanto la civiltà è in
movimento... sfugge al concetto di bene e di male. Ogni
cultura... vive di valori, di regole... che non possono
essere disprezzate mai, per nessuna ragione». E
dunque, conclude la Nostra, «lasciamo stare il
discorso sulla civiltà. Dopo millenni di odi e di guerre
dovremmo perlomeno avere imparato che il dolore non
ha bandiera».Sì, certo, il dolore non ha bandiere. Come
qualmente le lacrime sono tutte eguali. Ma cosa
c’entra, in questo bel dire, la civiltà? C’entra se
osserviamo che queste sono massime di alta civiltà
(che non sono condivise, vedi caso, dalla «bassa
civiltà» di chi esulta per il massacro di Manhattan).
Però perché dobbiamo abbandonare il discorso sulle
civiltà per scoprire che il dolore non ha bandiere? Il
nesso mi sfugge. E mi sfugge perché proprio non c’è.
E temo che tutto il succitato argomentare di Dacia
Maraini sia del tutto sconnesso.
Il guaio è - già notavo - che la Nostra non distingue,
non sa distinguere, tra cultura e civiltà. Tra l’altro la sua
sola pezza d’appoggio è l’antropologia culturale
(l’antropologia senza aggettivi è un’altra cosa); e
l’antropologia culturale non ha, come suo concetto
portante, il concetto di civiltà. Lévy-Bruhl e gli altri padri
fondatori della disciplina hanno esplorato la «mentalità
primitiva» e la sua distanza-differenza dalla nostra (e
dalla nostra logica). E se io mi travestissi da
antropologo culturale sarei prontissimo a sostenere
che gli antropofaghi che mangiano i nemici che
uccidono sono molto più «razionali» di chi non lo fa. Se
non lo sostengo è perché la mia sensibilità etica si
ascrive ad un’altra civiltà. Appunto, civiltà. Ma anche a
questo proposito ci dobbiamo intendere. Se io difendo,
come difendo, la civiltà occidentale non lo faccio in
sede estetica e nemmeno religiosa. L’architettura, la
letteratura e l’arte di molte civiltà non-occidentali sono,
a mio giudizio, di straordinaria bellezza. E se mi
venisse chiesto di scegliere una religione, io passerei
al buddismo (anche se sono attratto dal nitore e dalla
compostezza dello shintoismo).
Dunque, e venendo al nocciolo, qual è la civiltà che io
difendo, e della quale la Maraini e Terzani non danno
mostra di accorgersi? È la civiltà nell’accezione
etico-politica del concetto. È la civiltà che ha conseguito
più di ogni altra - sì, al paragone con ogni altra - la
«buona città», la città politica più umana, più vivibile,
più libera, più aperta di ogni altra. È, questo, un
paragone «insensato»? È una tesi che lascio agli
insensati che la sostengono. Terzani scrive che
l’intolleranza di Oriana lo inquieta. A me inquieta molto
di più, confesso, la cecità di chi fruisce di una «buona
vita» (etico-politica) che non vede perché non sa vedere
in contrasto. Per Oriana Fallaci, «se crolla l’America
crolla l’Europa. Crolla l’Occidente, crolliamo noi. Blair
l’ha capito...». Evidentemente Terzani e la Maraini no.
Perciò sono davvero spaventato.
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Thnx Tepa!
..immagino che si faccia meno fatica a reperire articoli contro la Fallaci che articoli pro, di questi tempi..
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Io una mia idea ce l'ho...sugli italiesi...ma lasciamo
stare che e` meglio
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Scusate.. a costo di prendermi dell'imbecille.. io sono abbastanza tranquillo.. come sempre
Tanto se capita capita.. almeno vivo bene gli ultimi giorni!
Non mi sento responsabile di cio' che e' successo.. ne di cio' che succedera'.. e a quei bombaroli non daro' la soddisfazione di scombussolarmi la vita.. anzi.. si sono scombussolati di piu' la loro.
Piu' si solleva polvere e piu' grande parra' il danno....
Non dico che non ci sia da riflettere.. ma dormo lo stesso..
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Certo che è difficile districarsi nella giungla delle opinioni e analisi, “buoniste” o politically scorrect che siano.
L’articolo della Fallaci, l’avevo detto da subito, non mi era molto piaciuto, benché riconoscessi che è giusto, al par suo, aborrire quelle forme di violenza che tanto sono gradite a chi il Corano lo legge “integralmente”, e che certi capoccia mussulmani tanto dentro con la testa spesso non siano. Non mi era piaciuto in generale per il tono usato, per quel suo sembrar “buttar via il bambino con l’acqua sporca” che è presumibilmente pericoloso, come è pericolosa una cattiva o pilotata informazione; e in specifico non son d’accordo per l’utilizzo, improprio al pari di quello della Maraini, del termine civiltà, che è infido perché generico, vago e insieme esauriente di tutte le sue accezioni. E su quest’ultimo argomento ritengo si scontrino i nostri scriba (sento aroma di Tepa in questo termine. Mi stai contagiando? ). Sartori chiarisce correttamente e definitivamente la questione, e perciò merita un BRAVO. E forse pure un alleluia.
L’errore è quindi duplice: quando la Fallaci sostiene che non vi è differenza fra islam e terrorismo, e la Maraini mi propone l’inconfrontabilità assoluta fra civiltà, la prima dimentica di specificare che si parla della versione islamica della civiltà della politica e del diritto la quale è seme di intransigenza e quindi di potenziale terrorismo (ma esistendo ovunque i pazzi, toglierei pure il <potenziale>]; la seconda dimentica che, essendo quello l’esatto argomento della prima, si è entrati in un campo che permette la confrontabilità (lascio stare la diatriba semantica sul significato delle parole e dei campi di studio delle scienze citate dalla Maraini).
Ma proprio perché entrambe sono in errore non concordo più con Sartori che mi dice che la Fallaci ha ragione. Le sue ragioni ce le ha, ma non tutte. E così la Maraini ha ragione nel criticarle quella sua foga al pari degli islamici “integralista”, e cieca nel giudicarne gli effetti (mi permetto di riportare un suo pezzo:< Ma tu (Fallaci) non distingui: «Usama Bin Laden afferma che l’intero pianeta Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all’Islam, che con le buone o le cattive lui ci convertirà che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci». Perché non chiamarlo invece per quello che è: un atto di terrorismo fondamentalista che come tale va giudicato e combattuto? Se lo trasformi nella prima mossa di una guerra santa, fai solo il loro gioco. È una trappola, Oriana, in cui mi sembra che tu sia caduta con tutti e due i piedi, spinta dall’impetuosità travolgente e il coraggio - se mi permetti in questo caso un poco donchisciottesco - che ti sono propri.>]
Un’ultima cosa. Terzani ripete la stessa operazione di Fo, ovviamente con lo stesso gusto per i toni retrò, cioè rinverdire un po’ di filosofia veterocomunista…. Comincio a temere che non sia più il caso. Che le loro accuse siano giuste, sacrosante (OK, dipende dai punti di vista, io parlo del mio), o al limite accettabili, nessuno (sempre io) lo toglie, ma che usino lo stesso concetto di “terroristi” per definirli è più osceno che improprio.
Criminali, e incoscienti sono termini più corretti.
I terroristi vogliono che il loro nemico viva costantemente nel terrore di modo da scardinare qualsivoglia possibilità di esistenza per la sua società, i capitalisti cattivi dei Nostri 2 sono semplicemente il prodotto peggiore della loro cultura del “contenimento della spesa”, o del “profitto, molto e veloce”, che non si dà ulteriori criteri. Ma arrivare a sostenere che il capitalista voglia debellare quella stessa società e civiltà che gli ha permesso di nascere e crescere………
Oddio, qualquno (Sombart, Weber e Schumpeter) lo ha anche preconizzato, ma attraverso ben altri mezzi!! E cmq, inconsapevolmente.
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Ohh Limick, se abitassi qui, dopo quello che e`
successo
l'11 e quello che sta` succedendo, ti assicuro con
certezza
e precisione cartesiana, che dormiresti male, e se non
male
la tua giornata sarebbe guastata ogni volta che al
risveglio un grosso punto di domanda incombe...Non
dire che
capisci etc, perche` la cosa la stai vivendo
mediaticamente, scusa e` fuori discussione...E se
credi che
gli americani siano facili prede di incubi indotti etc
sbagli, perche` questo "spauracchio" e` fottutamente
reale...(Qui basta uno che apra un busta ad una
stazione
della subway quando il treno sta` arrivando e il gioco e`
fatto...non e` milano ed i suoi numeri, umani anche,(
qui
ci sono 2000 km di rotaia) non sono gli stessi...per cui
il
contagio sarebbe massiccio...E a quella fermata
potresti
esserci anche tu...Provare per credere le rush hours in
subway...Questo per citarne ,una, di cose piacevoli che
possono capitare nell'arco di una giornata...
Bombaroli? Devo aver perso qualcosa...Riguardo cio`
che
dici relativamente al fatto che non si puo` farsi
fermare/fottere dai terroristi e` vero , verissimo, ma
molto molto duro da attuare...la concentrazione e
l'entusiasmo anche in ambito lavorativo non sono gli
stessi
di prima...Quando esci poi,dalla subway , viene
spontaneo
di alzar la testa in cerca di due punti cardinali che
oramai non ci son piu`...E senti un groppo serrarti lo
stomaco...
Caro Gufo, non rispondo or ora, dal momento che i tuoi
spunti sono molto interessanti e desidero pensarci
prima di
scodellarti una qualche opinione, ma ci puoi contare
Ciao a tutti
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Ci provo, beninteso.
Mi sembra di capire che la Fallaci, si rivolga a chi
presta
una piu` attenta attenzione, con il suo notevole bagaglio
di conoscenza (maturata sempre in prima linea e
sventagliata di piombo alla schiena inclusa) ,credo,
evitasse fronzoli per giungere alla sostanza: sono il
mullah, l'ayatollah il Baffo, (il martire
hamas, scendendo di gerarchia) etc etc , NON il
contadino,
il mercante, il dottore etc a rappresentare l'islam
sfaldato dalla morsa integralista e frangista. E credo
abbia visto giusto, senza-o se preferiamo prima- il
bagliore degli ultimi eventi (i suoi libri e reportages
stanno li -gufo ricordi quando diede del criminale a
kissinger durante un intervista?), cosa che invece non
e`
stata evitata da chi abbagliato o"troppo" nelle proprie
faccende
affacendato e` , e` stato e all'improvviso sente l'impeto
di salire in cattedra ad elargirci porzioni di filosofia
della pizza pret-a-porter, dimenticando che la storia e`,
anche ora...No? Forse cio` che ci si ritrova innanzi
come
fonte di perturbazione necessita una lettura, che ,certo
,tenga presente degli eventi causali, ma che
procedendo
stabilisca un ordine (di intenzioni e realizzazioni) e non
un teatrino di lusinghe formali atte solo ad
imbalsamare il
soggetto nella sua (e me lo concederai)
autoreferenzialita`.
Benvengano motivi tali da farci prendere le distanze da
alcune mozioni ,in una raccolta di pensieri, ma non
distogliamo l'attenzione da quella che ne e` la
sostanza.
Ecco perche` a me la lettera e` piaciuta, chiara e
coraggiosa (e piuttosto lucida nello scansare
compromessi)
, lodevole nella sua sincerita` e nel suo margine di
limite. L'inutile spargimento d'inchiostro che ne e`
seguito mi e` sembrato meschino e con uno
scarabocchio , non un disegno,a farne da struttura
portante. La solita "progettualita`"tipica della "critica
creativa" itagliese, affascinante quanto un contorno
scadente dopo un ottimo arrosto.
mi sa` che ai crociani iniziero` a preferire i crociati...
ps: per le tue refernze a pie` pagina meriteresti un
viaggetto a ritroso a
Trento, e piu` precisamente al frenetico party "vent'anni
dopo", e sai a cosa mi sto` riferendo
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La filosofia della pizza pret-a-porter?! Ah Ah Ah!!
Ma come ti vengono simili battute?!?!
Tepa, DEVO avere una tua foto: il santuario per l'adorazione è già pronto. Manca solo l'icona.
La filosofia della pizza pret-a-porter...posso brevettare pure questa?
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Non sia mai detto!!! Son iconoplasma!
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Amen! Tutte le migliori religioni non hanno figure dei loro santi, onde evitare di perdere la purezza della loro fede. Vedi l'Islam.
(Te la sei cercata! Tiè!)
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Giustissima la critica a chi scrive critiche o semplici analisi con l’unico obiettivo di autoreferenziarsi; giusto rendere l’onore delle armi a chi la guerra l’ha vissuta più volte e il terrorismo e il fondamentalismo l’ha visto all’opera, pure su di sé.
Non credo sia però altrettanto vero al 100% il discorso che mi fai all’inizio. E’ vero che la Fallaci anzitutto punta l’indice verso i capoccia, gli Usama Bin Laden, gli Ayatollah e vari… <dinamici trii>, ma poi, specie dopo il discorso-profluvio (come ho già spiegato, non ben definito e quindi pericoloso) sul contrasto fra le due civiltà, la sua ira si rivolge a tutti i mussulmani.
Non va bene quando la Fallaci comincia ad insinuare il dubbio che gli arabi vengano qui per cambiare il nostro sistema di vita, che non c’è posto per i muezzin, i minareti lo chador, prima ancora parla sprezzantemente del loro fervore religioso (altrove e per altre religioni la si chiamerebbe fede) poiché pregano 5 volte al giorno, e fare loro posto qui significa gettar via la nostra libertà e civiltà letteraria e artistica; quando insinua il dubbio (ma come è possibile che lei per prima ci creda?) che BinLaden dia loro i soldi per venire qui a INVADERCI (usa proprio questo termine, e più volte) non solo spiritualmente ma territorialmente, che li dia A TUTTI, capisci il rischio? Lei non sta facendo distinzione, parla di tutti. Una volta fatta la relazione BinLaden-immigrati, la frittata è fatta, perché qui c’è gente che con un passamontagna in testa, tirando bombole sulle camionette, o sventolando croci uncinate o celtiche non aspetta altro per credersi legittimata.
Sai, il problema è che lei dice cose che sono condivisibilissime: Firenze, i venditori ambulanti privi di licenza, i gommoni.
Tutto ciò è condivisibile. Ma andrebbe detto e scritto in quei termini quando le acque non sono così burrascose, quando il confronto fra due mondi così diversi rischia di mandare in frantumo tutto e tutti, non trovi?
E’ vero che poi c’è stato il fattaccio dell’imam di torino, e del centro ricreativo di milano, ma quanti sono i mussulmani in Italia? Nella sola milano saranno 70mila. Quanti ognuno di noi se la sente di definirli fondamentalisti, o potenziali terroristi?
Se diciamo tutti, allora abbiamo almeno 100mila terroristi: diamo il via ad una caccia?
Emettiamo ordini di restrizione della loro libertà?
Ci sono i criminali e ci sono le persone che non lo sono.
Spetta alla polizia il compito di scoprirlo, non alla gente che con troppa superficialità fa di tutta l’erba un fascio. Stando alla Fallaci, chiunque, godendo delle libertà che NOI garantiamo, si comporti secondo il costume islamico, è un motivo di allarme o disagio (sono parole di lei). Ma secondo me è pericoloso dire ciò in questi termini.
Questa, lo giuro, è veramente l'ultima volta che parlerò dell'articolo della Fallaci. Se qualcos'altro dirò, sarà solo per dire che ho sbagliato.
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Non metto in dubbio Tepa.. che io sia stato meno coinvolto di te.. ne tantomeno penso che gli americani siano facilmente impressionabili.
La cosa migliore che l'Italia puo' fare per "alleviare" la situazione anche psicologica degli americani credo sia dargli il nostro appoggio incondizionato su tutti i fronti dal momento che hanno dismostrato di aver saputo attendere e organizzarsi per estirpare il cancro del terrorismo.. e lo stanno facendo loro per tutti noi..
Gufo non ci sono restrizioni di liberta' agli immigrati.. c'e' solo una richiesta popolare che anche loro si attengano alle nostre leggi e sicome il fenomeno del "me ne fotto della legge italiana" e' molto vistoso.. la gente fa bene a inca.... sarei piu' preoccupato se tutto cio' passasse inosservato. C'e' anche la liberta' di andarsene...
Io so che sono 800.000 i mussulmani in Italia e se uno come di Torino con una carica anche di responsabilita', non da sottovalutare.. cosi' come gli abbiamo riconosciuto e costruito la moschea credo abbiamo anche il diritto ad "evacuarlo" in tempi brevi.. non lo facciamo per paura di ritorsioni?.. Ecco! Questo e' terrorismo.
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L'induismo le figurine panini le ha. E non e` cosi`
malvagia come religione.
che mi dici del buddismo?
controbbatereai quale buddismo?
quello hinyana o veicolo inferiore le ha, l'altro
-mahayana
non ne ha bisogna perche` raggiunge la piena
coscienza
della buddita` insita in ogni individuo.
Decisamente il buddismo e` una religione
superivoluzionaria, in tutti i sensi.
(l'iconoclastia ci ha portato via tante cose sensazionali
-cibo per lo spirito- a favore del delirio astrattivo, vuoi
mettere (visivamente) masaccio (il primo che mi
passava in
mente) con un pattern?..................neeeeeeee!!!)
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Secondo me l'Italia non viene ritenuta affidabile perche' c'e troppo terrorismo politico, GSF, verdi, bertinotti, pensatori alternativi, centri sociali, filo talebani, filo islamici ed ogni altro genere di rifuti della societa' e l'amministrazione USA ha la consapevolezza che chiedere o accettare l'aiuto dall'Italia significherabbe innescare una campagna di protesta che avrebbe un effetto pessimo per la compattezza della coalizione, infatti il compito dell'italia sara' quello di sostituire le forze USA sui balcani.
non si spiegherebbe altrimenti la freddezza verso un capo di stato che viene ad offrirti aiuto.
In poche parole l'italia viene considerata come l'idiota della famiglia, gli si vuole bene per la sua cultura occidentale ma si cerca di tenerla alla larga dal mondo degli affari, a ragione o a torto?
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Scusate per il messaggio sopra, ho sbagliato forum....
sigh...me tapino...
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Sì Limick, hai perfettamente ragione. non voglio dire che ci sia ORA limitazione della libertà degli immigrati, ma che qua in Italia teniamo diverse categorie di personaggi nostrani che , dotati del cervello di una cimice, non aspettano altro che qualcuno gli sembri dare ragione.
Poi, per il resto, lo so che esiste un cospicuo numero di immigrati che della nostra legge se ne frega: io vivo a venezia e i venditori ambulanti abusivi li devo scansare tutti i giorni (e non solo scansare le loro pezze per terra, ma pure la loro insistenza villana: uno una volta mi fermò per vendermi un accendino, ma dato che nn fumo non lo compravo; <dai, lo so ghe sei un bravo uomo, ghe non sei un razzista. dai, combra un aggendino!>. Ma porko ... ti ho detto che non fumo!). Ma se, grazie all'ipocrisia culturale immobilistica dei nostri politici, è la legge stessa che gli permette di continuare a vendere impunemente; chi io butterei a mare non sono loro (che sono in genere dei poveracci scappati da situazioni peggiori), ma i nostri politici. Lo sai che una sentenza della cassazione ha stabilito che la vendita dei prodotti finto griffato dei marocchini non è illegale perchè < è noto al pubblico che sono taroccati, quindi non c'è più la volontà di ingannare il cliente>?
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Ahi, ahi, Tepa, mi costringi a bacchettarti.
Verissimo che il Bodhisattva mahayanico raggiunge la liberazione attraverso la coscienza della sua buddità (PS sempre che si possa parlare di liberazione, dato che, essendo la verità ultima delle cose la Vacuità, non esiste differenza fra il nirvana e il samsara per il mahayana: la vera conoscenza e relativa "liberazione" sta nel comprendere che non esiste alcuna dualità). Ma nel Sutra delle 10 tappe sono esposti i gradi di perfezione della coscienza\conoscenza del meditatore. nella ultime 4 tappe, egli viene dotato dei più grandi poteri, e diviene vero oggetto di culto. All'Istituto Lama tsong Kapa di Pomaia ho visto decine di statuette e raffigurazioni dei mitici bodhisattva Maniusri e Maitreya (lui oltretutto dovrebbe essere il fututro buddha a venire, secondo la tradizione), e altri di cui non ricordo i nomi (se vuoi li cerco, ma se hai occasione di consultarlo, cerca E. Conze <a short history of buddhism> ed. George allen&Unwin 1994, è un libro precisissimo e tuttavia di una profondità inquietante pur nella sua sinteticità.
Non centra una mad0nna con l'iconografia vera e propria, ma io ho sempre avuto un amore frenetico per i quadri religiosi di caravaggio...
Ciao.
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Bacchettata che restituisco il mahayana a sua volta si
divide in provisorio e definitivo, quello di Nichiren
Daishonin , il Budda dell'ultimo giorno della legge
(monaco
realmente esistito durante lo shogunato di kamakura.
Si
differenzia dal provvisorio in quanto il Daishonin isola
dei capitoli del Sutra del Loto (individuandone la legge
universale di causa ed effetto e l'accesso a tutti alla
buddita`) di Shakyamuni. Ma ora basta, altrimenti
apriamo
un forum su religioni (cosa che sconsiglerei...) Il libro
lo conosco ma e` cosi` cosi`...tu mi dirai ma come...io ti
diro che ` lo studio e` uno dei precetti del buddismo
(almeno 1/2 ora al di`...), che c'entra con me? eh
c'entra...
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Tepaaaaaa!!!!
Il santuario per la tua venerazione è già pronto, lo sapevi, ci ho aggiunto l'incenso, le candeline, alcuni simboli (a casaccio, ma poi arriverà qualcuno, un Nagarjuna itagliese [quelli che ami, insomma!!], fra 100 o 200 anni e sistematizzerà tutto)...LA TUA FOOOTOOOOOOO!!!
Mi spieghi solo cosa centra il definititivo e provvisorio con le figure panini? non serve che scrivi qui, la mia email ce l'hai
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Non offendetevi, ma non ci ho capito un karkadé di
quello che avete scritto...
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